Il G8 e la vera alternativa

8 luglio 2009

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Non vogliamo neanche sapere quanti quattrini pubblici saranno buttati per coprire le spese del G8, ennesima inutile parata di governi che non governano nulla salvo queste messinscene. Sono riunioni che servono solo a illudere l'opinione pubblica che stabilire le sorti del pianeta siano i politici, eletti dal popolo, chi più chi meno, con la truffa "democratica". E a noi, a dirla tutta, non interessa neanche granchè degli sprechi in quanto tali, quanto dell'inganno per il quale è vietato dire che tutti i piani e gli annunci di questi summit restano regolarmente lettera morta, perchè il vero potere ce l'hanno banche centrali, Fmi, Wto, multinazionali e tutta la fairy band della speculazione internazionale.
Sennonchè quel campione del vittimismo "chiagne e fotte", il premier Silvio Berlusconi, ha scelto la martoriata Aquila, ancora fumante di macerie e disperazione, per far sfoggio di buoni sentimenti e criminalizzare a priori la protesta dei cosiddetti no-global che puntuale accompagna ogni G8.
Cosiddetti, certo: perchè la marea "alternativa", la costellazione di Porto Alegre, tutti quei movimenti e gruppi che aspirano ad una globalizzazione "diversa" ("un altro mondo è possibile", è il loro slogan) non sono affatto no-global. Non sono contrari alla globalizzazione in sè. Si accontenterebbero che fosse un'altra, liberata dal neoliberismo, dalle disuguaglianze economiche e dallo sviluppo insostenibile, che per loro potrebbe benissimo diventare sostenibile se corretto e riformato secondo superate ricette  di sinistra (in pratica la redistribuzione di risorse dal Nord al Sud, perpetuando così l'invasione economica e culturale dell'Occidente in Africa, Asia e America Latina).
Per noi è in sè e per sè un delitto contro l'umanità l'omologazione di ogni angolo della Terra al nostro modello di produzione e consumo, ai nostri stili di vita e al nostro immaginario sociale. Punto e a capo. Ed è da questo misconoscimento di fondo che deriva il fallimento conclamato della galassia no-global, che usurpa tale etichetta spacciandosi per ciò che non è. Noi non ci uniamo alla solita marcetta claudicante di finti avversari del mostro globale. La maggior parte dei quali, intendiamoci, quando scandisce le parole d'ordine contro la congrega dei privilegiati è in perfetta buona fede. Ma sbaglia clamorosamente bersaglio. E lo sbaglia perchè è priva di un'analisi aggiornata e perspicace, aderente ad una realtà che non si lascia spiegare nei termini del classico terzomondismo.
In parole semplici, non è ai presidenti e primi ministri delle otto grandi potenze mondiali che si deve chiedere il conto della fame che attanaglia intere popolazioni, della miserie delle bidonvilles africane, delle discariche di rifiuti occidentali disseminate nei paesi del Sud del globo. I responsabili siamo noi, consumatori di questo modo di vivere da infelici maiali, che quando produciamo all'impazzata per tenere in piedi il baraccone industriale e quando diamo credito (la famosa "fiducia") al sistema finanziario, ci macchiamo, noi per primi, della colpa di distruggere mezzo mondo. E coloro che vorrebbero che il nostro presunto benessere materiale fosse esteso al mondo tutto, intero, senza eccezioni, cioè i diversamente global (chiamiamoli così, è più esatto), non fanno altro che sorreggere dall'altra parte la macchina livellatrice dello sviluppo. E spiace sentire che anche Ratzinger, questo papa per altri versi apprezzabile, si accodi alla schiera "riformista" sostenendo che bisogna "convertire il modello di sviluppo globale, rendendolo capace di promuovere uno sviluppo umano integrale".
L'alternativa reale c'è. E' il localismo, puro e schietto. E' riportare la misura dell'esistenza dei popoli al più piccolo grado di prossimità con le comunità che si auto-riconoscono come tali. Una misura variabile, libera, che si differenzia di volta in volta a seconda della consapevolezza di ciascun gruppo di uomini di vedersi accomunati da un destino collettivo. Perciò declinabile in forme differenti: tribali dove ancora esiste il senso di tribù, o nazionali, o bioregionali, o politico-civiche. Il come andrebbe lasciato alla storia e alla decisione di ogni specifico contesto, senza preclusioni ideologiche, nostalgismi premoderni o aspirazioni che non tengano in debito conto gli ultimi cento o duecento anni di cambiamenti, per quanto devastanti essi siano stati.
Per l'Italia, il pensiero di chi scrive va alla scrostazione della posticcia maschera di "Stato nazionale" uscita dal Risorgimento e alla riemersione delle feconde peculiarità comunali, o regionali, o isolane, o addirittura valligiane, caso per caso, in base a tradizioni, dialetti, senso di appartenenza ma anche, elemento decisivo, la presenza di un interesse territoriale comune qui e ora, in questo frangente storico. Il tutto modulabile secondo la necessità di far fronte all'oggi, su su fino ad una Grande Europa che faccia da cappello protettivo. Detto con un esempio: il mio Veneto, terra di antichi costumi municipali ben amministrati dalla liberalità del Leone di Venezia, una piccola patria all'interno di un'Italia confederata, neo-rinascimentale (senza più l'eterna conflittualità del Quattro-Cinquecento, si capisce), a sua volta inserita in un'Unione Europea dei popoli, indipendente dall'alleanza-capestro con gli Stati Uniti e svincolata dalla dittatura dell'euro. Un sogno, è chiaro. Ma la vita non è vita, senza sogni.

Alessio Mannino

Commenti
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Fabio Mazza (Registered) 08-07-2009 11:01

Sempre preciso Alessio.
Il problema, e quello che disturba particolarmente qualsiasi utente di giornali, televisione, radio ecc. ecc.
è che NESSUNO mette in dubbio che il sistema di sviluppo sia fallito.
Tutti, politici, sindacalisti, lo stesso papa, sostengono che si debba entrare nell'era della "finanza e dell'economia etica". Cioè un sistema capitalistico ultracompetitivo, che però si preoccupa di non allargare troppo la forbice dell disperazione mondiale.
Da nessuna campana si è sentito dire: "alt! fermi! ci siamo sbagliati, questo modo di vedere le cose si è dimostrato fallace. Il sole che avevamo negli occhi ci ha abbagliato. Adesso cerchiamo di invertire la rotta per quello che è possibile".
Che non vorrebbe dire fare tabula rasa di tutto quello che è stato prodotto negli ultimi duecento anni, cosa auspicabile ma ahime molto molto utopica, ma semplicemente mettere da parte certi modi di vedere il mondo e la produzione, di concepire l'universo come un mercato e le relazioni improntate alla logica del "di più è meglio" e del "vantaggio o svantaggio".
Questo è possibile.
Questo deve essere fatto. E stupisce che un "tradizionalista" (ma sarebbe meglio dire un tradizionalista ad oltranza) come il papa non cavalchi l'onda per tentare di riaffermare una morale un pochino più alta di quella del dio danaro.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 08-07-2009 13:24

Condivido tutto di questo lucidissimo testo. I cosiddetti no-global farebbero meglio a radunarsi quando si riuniscono quelli del Bilderberg, quelli che contano. Tutti questi black bloc riemergono dai loro lunghi silenzi solo quando si riuniscono i G8. E se i vertici non si facessero più? Finirebbe la contestazione? E se a Berlusconi viene un coccolone da viagra? Finisce anche il radicalismo di sinistra? Quanto al papa e alla Chiesa in genere,sconfitti nello scontro plurisecolare con gli illuminismi, i positivismi e i liberal-social-progressismi, sono ridotti al balbettìo, i loro mòniti sono belati.
Condivido anche la visione finale, qualcosa più di un sogno, delle piccole patrie in un'Europa ben diversa da quella che ci impongono i mercanti e gli usurai.
stediludo (IP:87.4.136.16) 08-07-2009 15:49

La visione finale richiama alla mente il concetto di "Impero", parola che oggi ai più può suonare sospetta, richiamando la versione moderna, mercantile e talassocratica di impero, ovvero quella colonialista e a stelle e strisce, che fa rima con "imperialismo". Ma gli imperi che ha conosciuto la tradizione europea non hanno nulla a che vedere con tale versione. L'impero alessandrino, l'impero romano e quello medievale-cristiano si basavano appunto sul rispetto delle regioni, delle piccole patrie, del pluralismo linguistico e culturale, sintetizzando tutto ciò in una superiore unità spirituale. Erano quindi imperi universali che si reggevano sulla sintesi dei particolari, come ogni vero universale, e non universali che pretendono di far tabula rasa dei particolari come l'universale astratto e omologante dell'imperialismo cosmopolita odierno.
Una versione aggiornata di tale prospettiva può essere rappresentata appunto dall'Europa delle regioni, delle comunità (sempre che esistano ancora...), basata sul principio federale e della sussidiarietà (vedi ad esempio quello che da decenni va teorizzando De Benoist) e che si riconosca in un superiore destino comune di civiltà e quindi sganciata dalla supina sudditanza agli Stati Uniti e polarizzata sull'asse Parigi-Berlino-Mosca.
sillarion@libero.it
MarcoFerr (Registered) 08-07-2009 17:10

Non è un mistero, gli stati nazionali sono un inservibile "colabrodo identitario"... è grazie alla loro intrinseca debolezza che la finanza apolide la fa da padrone.
Il rilancio localista delle ultime righe dell'articolo di Mannino è pienamente condivisibile. Anzi, credo che per MZ dovrebbe costituire una priorità nell'azione politica.
Non c'è decrescita possibile senza comunità e sussidiarietà, non c'è riscatto che non passi per la riappropriazione della propria identità.
Complimenti per l'articolo.

Marco Ferrari
paloman@inwind.it
Montenegro (Registered) 09-07-2009 11:55

Articolo bellissimo. Mannino continua ad essere il mio punto di riferimento in MZ, dopo Massimo Fini
amugnolo (Registered) 09-07-2009 13:11

Complimenti a Mannino per l'articolo, e complimenti a Sillarion per la frase: "non c'è riscatto che non passi per la riappropriazione della propria identità", apre scenari di riflessione ampi e fecondi.
alessio (Super Administrator) 09-07-2009 17:10

Ringrazio dei complimenti tutti e in particolare il lettore Montenegro della stima, forse troppa, che ha in me.
Alessio Mannino
antoniogentilucci@gmail.com
antonio.gentilucci (Registered) 09-07-2009 23:14

Bravo Alessio, additare tutti i guai del pianeta a otto mediocri esseri serve solo a coprire i vizi nostrani, che non sappiamo muoverci senza consumare benzina, che dobbiamo comprare qualcosa di inutile ogni giorno... La rivoluzione delle abitudini, ecco la vera rivoluzione da propugnare e per cui lottare.
slesia
slesia (Registered) 12-07-2009 01:49

che bello girare per il web (boicottando i giornali nazionali)e riuscire a trovare degli articoli, che non trovo ribelli ma semplicemente obbiettivi. complimenti per il concetto espresso, sarebbe una meravigliosa soddisfazione trovare un articolo del genere sulle prime pagine dei democratici e liberi giornali italiani (il manifesto compreso).
nice to meet you
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