Islamofobie estive

di Stefano Di Ludovico

2 settembre 2009

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Da qualche mese in Francia si discute animatamente, a livello politico come di opinione pubblica, se vietare o meno alle donne musulmane di indossare il burka. Dopo le polemiche che qualche anno fa portarono al bando del velo dalle scuole, è ora, quindi, la volta del burka, abito pare abbastanza diffuso presso alcune comunità islamiche di recente immigrazione. La discussione attuale ricalca per molti aspetti quella di allora; le argomentazioni dei sostenitori del divieto del burka sembrano le stesse: in generale, bisogna difendere lo Stato “laico” e proibire quindi l’“ostentazione” di qualsiasi simbolo religioso, stavolta non solo nei luoghi pubblici, ma dappertutto, per strada come al mercato, tranne, a questo punto, che a casa propria; nel particolare, si accampano motivazioni inerenti alla tutela della civile convivenza, quali il fatto che il cittadino deve essere sempre identificabile e quindi non si può andare in giro a viso coperto. La discussione è stata rinfocolata da alcuni episodi accaduti di recente in merito ad un altro indumento indossato dalle musulmane, il cosiddetto “burkini”, un particolare costume da bagno portato dalle ragazze nelle piscine che copre interamente il corpo lasciando scoperto solo il volto. Alcuni bagnini di piscine pubbliche hanno vietato l’ingresso alle ragazze in tale costume, adducendo motivi igienico-sanitari e di regolamento. Episodi simili si sono verificati anche in altri paesi d’Europa, tra cui l’Italia: a Verona il direttore di una piscina comunale, spalleggiato dal sindaco della città, ha avviato pratiche amministrative per accertare la compatibilità igienica del burkini indossato da una frequentatrice della piscina, chiedendo alla malcapitata di fornire indicazioni circa il tipo di tessuto di cui sarebbe fatto il costume.
Come vediamo, quando si tratta di musulmani e dei loro indumenti, la certezza del diritto pare non conosca attenuanti, ed ogni cavillo ed appiglio sono buoni pur di farla trionfare. Viene da dire che se lo Stato si attenesse allo stesso rigore ed alla stessa rigidità nel far rispettare la legge sempre ed in tutte le circostanze a tutela della civile convivenza e della salute dei cittadini, in Italia e nel mondo si sarebbe risolto ogni problema e vivremmo davvero nel migliore dei mondi possibili! In realtà, dietro le ragioni legali accampate – e che sembrano sfiorare quasi il ridicolo come nel caso dei burkini – altro non si cela che la ormai sempre più dilagante islamofobia dei paesi occidentali, ovvero l’insofferenza verso costumi, tradizioni e valori che per il solo fatto di risultare non conformi rispetto all’omologazione ed all’uniformizzazione imperanti nelle nostre società vengono visti e sentiti come estranei, quindi da mettere al bando, con buona pace della tolleranza e del rispetto del pluralismo culturale che pure continuano ad essere sbandierati come principi cardine del mondo occidentale.
Del resto verso i musulmani gli Stati occidentali sembrano non far altro che continuare la loro azione storica volta allo sradicamento di ogni cultura e tradizione “altra” rispetto ai valori laici e secolarizzati propri della modernità, valori in nome dei quali già da tempo le stesse religioni dominanti in Occidente si sono dovute accontentare del cosiddetto rifugio nel “privato”, nella coscienza individuale, praticamente nel nulla, dato che per lo Stato laico solo ciò che risulta conforme ai dettami della ragione positiva, ovvero della ragione tecno-scientifica, ha diritto di cittadinanza pubblica. I simboli di questa possono essere quindi “ostentati”, a scuola come nelle strade, quelli afferenti ad altre “ragioni” vanno tenuti nascosti nella coscienza e palesati solo a casa propria, manco fossero cose di cui vergognarsi. Ci si chiede che senso possano avere una fede, una credenza, una filosofia di vita se queste non possono essere professate e quindi vissute pubblicamente, così come mai non debba valere il contrario: i simboli religiosi ostentati quando e dove si vuole, quelli “laici” nell’intimo della propria coscienza o chiusi nella propria stanza!
Che dietro la presunta difesa della laicità si celino null’altro che l’insofferenza, l’incomprensione, l’estraneità che la cultura occidentale manifesta ormai verso tutto ciò che sappia ancora di “sacro”, di spirituale, o comunque di valori non assimilabili all’orizzonte materialista e consumista, lo dimostrano le motivazioni e le dichiarazioni d’altro tono e genere che si sono registrate sempre a proposito dei fatti in oggetto. In Francia alcuni cittadini intervistati a proposito dell’eventuale divieto del burka hanno affermato che, al di là delle formalità relative all’identificazione o al rispetto della laicità, la sola vista di una donna in burka o con velo provoca loro un senso istintivo di ripulsa, un’intolleranza quasi epidermica difficile da controllare. Allo stesso modo, il responsabile della piscina di Verona ha ammesso che ciò che lo ha indotto in ultima istanza a verificare la compatibilità del burkini con i regolamenti comunali sono state le rimostranze di alcune mamme secondo cui i loro bambini al cospetto della donna così vestita si sarebbero addirittura spaventati!


Del resto motivazioni del genere non appaiono affatto nuove: fanno capolino perfino quali motivazioni ufficiali di altri provvedimenti “anti-islamici” che stanno dilagando in Italia come nel resto d’Europa, provvedimenti, per ciò stesso, al limite del diritto costituzionale in vigore in questi stessi paesi. Ad esempio alcune amministrazioni comunali del Nord Italia hanno decretato la chiusura dei kebab in quanto ritenuti incompatibili con il decoro e l’arredo urbano dei nostri centri storici. In Svizzera in novembre si celebrerà un referendum, voluto da alcuni partiti della destra populista, contro la costruzione di minareti, la cui presenza, a dire dei promotori della consultazione, stonerebbe con il tipico paesaggio delle città svizzere, erigendosi a simbolo della loro “islamizzazione”. Motivazioni simili vengono addotte anche da noi da chi si oppone - vedi a Milano - alla costruzione di moschee.
Insomma, pare che l’Occidente abbia gettato la maschera: dietro la formale difesa della laicità delle istituzioni si nasconde qualcosa di ben più profondo ed inquietante, ovvero l’insofferenza verso ogni espressione di diversità, originalità, difformità, rispetto ai valori imperanti nella nostra società. E così a scuola il velo provoca fastidio, le griffe e le bizzarrie dell’ultima moda no. Una donna non può passeggiare liberamente per strada in burka, conciata come l’ultima velina apparsa in televisione sì. Una ragazza in burkini spaventa i bambini (a quando la paura che se li mangi?); se si fosse presentata con lo stravagante modello lanciato da qualche star dello sport probabilmente li avrebbe estasiati di ammirazione (e il direttore della piscina non avrebbe certo chiesto lumi sulla qualità dei tessuti dell’indumento e sulla loro compatibilità con le norme igienico-sanitarie in vigore nelle piscine comunali…). Lo stesso dicasi riguardo ai kebab o ai minareti: non ci risulta che la stessa insofferenza i cittadini la manifestino verso i fast-food, i negozi alla moda o i centri commerciali; verso le aberrazioni della speculazione edilizia o le stramberie delle architetture moderne che devastano i nostri centri storici e le nostre città. Se i kebab ed i minareti sarebbero il simbolo della “colonizzazione” islamica, i fast-food ed i centri commerciali non lo sono di quella a stelle e strisce? Cos’è che deturpa di più un centro storico, un kebab o un McDonald’s? Tempo fa a Milano si urlò allo scandalo perché un gruppo di musulmani, durante una manifestazione lungo le vie della città, si fermò a pregare in piazza Duomo: si parlò di provocazione e addirittura di profanazione del luogo simbolo della religiosità meneghina. Ma nessuno si scandalizza allo stesso modo di fronte agli indecenti cartelloni pubblicitari che stabilmente arredano la piazza; di fronte agli show musicali, alle sfilate di moda, alle esibizioni del divo televisivo di turno acclamato da sciami di ragazzine in delirio che ogni giorno vi imperversano! Sono i musulmani in preghiera che offendono il “luogo sacro” o il quotidiano trionfo dell’inciviltà consumistica? Dove sono i fedeli ed i credenti milanesi di fronte a questa “profanazione” permanente?
Il fatto è che ormai noi occidentali, storditi ed anestetizzati dal veleno della società dei consumi, da una cultura edonistica e materialistica che ha fatto tabula rasa di ogni altra dimensione del reale e della vita, talmente assuefatti al brutto ed all’insensato che ci circondano e connotano le nostre città, siamo arrivati al punto da provare un’istintiva avversione nei confronti di tutto ciò che stoni con il mostruoso e desolante panorama nel quale ci ritroviamo a vivere. E così un abito o un’architettura che si rifanno ad antiche e nobili tradizioni ci infastidiscono, mentre un fast-food, le vacuità dell’ultima moda o l’ecomostro dell’edilizia nostrana ci appaiono come la più assoluta normalità; quando è chiaro che se una ragazza dei nostri tempi si fosse presentata in giro agghindata come una soubrette televisiva non diciamo in un paese islamico, ma in una nostra città soltanto cent’anni fa sarebbe stata portata di corsa al manicomio o dall’esorcista, così come se un nostro avo di appena un secolo fa si ritrovasse per caso catapultato per le strade di una delle nostre città rimarrebbe come minimo scioccato credendo di essere finito su un pianeta alieno!
E il bello è che a fare la voce grossa contro la presunta “invasione” islamica sono di solito proprio quei partiti, quei movimenti, che si qualificano come “identitari”, ovvero partiti e movimenti – vedi la Lega qui da noi o i vari partiti della destra populista in Europa -  che affermano di battersi, in coerenza con la loro stessa ragion d’essere, per la difesa della cultura e delle tradizioni locali, autoctone, appunto messe in pericolo a loro dire dalla sempre più massiccia presenza musulmana. Ma di quale cultura, di quali tradizioni parlano? Non si sono accorti che queste sono state anch’esse sradicate da quella stessa cultura consumista e materialista, omologatrice e massificatrice, che oggi cerca, da noi come in tutto il mondo, di sradicare anche la cultura e le tradizioni islamiche ed uniformare così l’intero pianeta al suo modello? Non capiscono che il loro vero nemico, il nemico di ogni cultura e tradizione identitaria, è lo stesso contro cui combatte e cerca di resistere proprio l’Islam? Perché questi partiti non sbraitano contro gli Stati Uniti, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale , che dell’idra consumista e mondialista rappresentano le indomabili teste? La verità è che anche tali formazioni, al di là dei loro proclami identitari o localisti, sono talmente omologate alla cultura imperante, talmente piegate, spesso loro malgrado, alla logica dominante, che hanno finito per scambiare l’identità occidentale, europea, cristiana, con la civiltà consumista, con il modello liberal-capitalista, con la megamacchina tecnocratica che sta cancellando dalla faccia della terra tutte le identità e tutte le tradizioni, europee e cristiane incluse. E così di tale civiltà esse finiscono per rappresentare proprio la punta avanzata, lanciandosi in ridicole “crociate” contro i simboli di una delle poche civiltà, quella islamica, che oggi, nel bene e nel male, cerca invece di resisterle. Queste formazioni, questi partiti, i cui esponenti strepitano contro i musulmani in preghiera in piazza Duomo, sono gli stessi che si ritrovano a finanziare e sponsorizzare in quello stesso luogo per loro “sacro” quelle volgarità consumistiche che del sacro come di ogni cultura e tradizione sono l’offesa più plateale. Dicono di aver issato la bandiera della difesa dell’Occidente, quando oggi l’unica bandiera da issare da parte di chi ha davvero a cuore le sorti di qualsivoglia civiltà, identità e tradizione è la difesa dall’Occidente.

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Sergio (IP:151.55.10.86) 02-09-2009 12:59

Sono d'accordo sostanzialmente con tutto cio' che e' scritto nell'articolo: e' ormai fin troppo chiaro come il cosidetto laicismo occidentale non e' che un determinato tipo di moralismo che, come altre religioni prima, cerca di imporsi al resto del mondo insieme all'egemonia dell'Occidente in ogni altro campo - cosa che e' il vero pericolo da cui ogni cultura che possa dirsi tale deve guardarsi anche solo per sopravvivere. Questo e' perche' tale moralismo sedicente laicista e' soprattutto una forza propagandistica di facciata che serve a coprire il vuoto necessario che deve esserci a livello culturale, interiore, spirituale in ogniuno e in ogni popolo per accettare il procedere insensato ed automatico del meccanismo economico che e' la vera sostanza di questo Occidente moderno (che ha anche l'occidente tradizionale tra le sue prime vittime).
Pero' i temi trattati nell'articolo mi sembra mettano pure in questione l'effettiva validita' e i limiti del cosiddetto "relativismo culturale". Accertato il fatto che questo moralismo laicista e' in sostanza l'attuale religione dell'Occidente (e riconosciuto pure che le persone di altre culture che vengono a cercar lavoro da noi lo fanno spinte da una situazione globale artificiale e causata direttamente dallo sfruttamento planetario da parte dell'Occidente e dunque solo in parte per loro scelta): perche' , se accettiamo che in altri paesi ci si debba adeguare alle regole locali, da noi ci dovrebbe essere invece apertura e disponibilita' ad altre del tutto estranee? Ovvero, se una donna occidentale in visita in Iran deve portare il velo, puo' essere altrettanto logico che una iraniana da noi se lo debba togliere e questo sarebbe un trattamento paritario e non omologante tra le varie culture mentre quello piu' aperto e tollerante (specie se unilaterale) sarebbe invece un atteggiamento moderno e di matrice occidentale che si presenta come relativista, ma che non tarda a mostrare di considerarsi superiore.
Credo che questo sia un problema intrinseco del relativismo culturale di difficile soluzione. E forse e' piu' realistica la presa d'atto che una soluzione non c'e' il che somiglierebbe di piu' all'atteggiamento che hanno in India (civilta' multietnica da sempre pur senza che i vari popoli ne' le varie culture intendano mischiarsi piu' di tanto) ovvero quello basato sul "vivi e lascia vivere". Principio che non tenta di concepire una composizione definitiva del problema, ma che, nella pratica, sviluppa forme di rispetto e convivenza; che non implica la considerazione dell'altrui credo come altrettanto valido del proprio (il che - che che se ne dica - non puo' essere altro che una ipocrisia oppure un alibi per l'assenza di idee), ma che mostra una consapevolezza della natura fondamentalmente illusoria di ogni tradizione e di ogni forma culturale e di una essenza indefinibile di una dimensione "sacra" (non "umana", ma naturale)comune a gli esseri di tutte le culture e che tutte e tutti li comprende e li trascende.
Questa consapevolezza mette anch'essa in questione la validita' del "relativismo culturale", ma a un livello molto diverso, perche' un'universalita' di cui si puo' esser consapevoli, ma di cui non si puo' dire, e' anche un'universalita' che non si puo' imporre ne' per la quale si puo' combattere.
Non si puo' altro che comprenderla ed accettarla.

www.ecofondamentalista.it
Fabio Mazza (IP:93.149.19.122) 02-09-2009 14:18

Interessantissimo spunto da parte di DiLudovico, che meriterebbe ben più delle scarne parole di commento che mi accingo a tracciare.

Il senso generale dell'articolo mi trova perfettamente d'accordo.
In special modo quando l'autore irride le varie formazioni "identitarie" attuali, che sbandierano la conservazioni di radici etniche e culturali e storiche, in opposizione all'"invasione islamica".
Che sia molto più deleterio un fast-food americano (cosa che peraltro mi trova d'accordo) che un kebab, è cosa da dimostrare. Indubbiamente lo è per le dimensioni globalizzanti e multinazionali che assume un fenomeno come mcdonald, a fronte di attività di "kebbaberia" di norma gestite in proprio o a livello familiare. Ma è indubbio che laddove sorgeva un italica pizzeria al taglio, o, per restare nella mia zona un rustico piadinaro, vedere un pakistano con il kebab è indice di una perdità di identità, in questo caso culinaria.
I fautori della società multirazziale e del "meltin pot" come lo chiamano gli anglofoni, sostengono che questa "fusione" è foriera di arricchire le varie culture, che nell'inevitabile ibridazione che ne segue, si estrinsechi il meglio delle culture che si incontrano. Questa tesi è tutta da dimostrare. In primis l'occidente "democratico" cosi ben tracciato nel suo articolo da DiLudovico, accetta questa "ibridazione" solo con popoli e persone "amici" ovvero che accettano la nostra marcia concezione del mondo scevra del sacro e di un senso di identità condiviso; salvo ripudiarlo quando, per forza di cose, la cultura che viene ospitata è antagonisticamente opposta a quella ospitante.

Inoltre questi partiti e movimenti, ridicoli nella difesa di un'identità che, non solo non esiste più, ma che è semmai tutta da ricostruire, insistono nella ridicola campagna di valorizzazione delle radici "cristiane" dell'Europa.
Questi signori (lega, forza nuova e compari) non hanno mai riflettuto sul fatto che le radici dell'Europa, e dell'Italia in particolare, non sono affatto cristiane, quanto semmai PAGANE.
Termine spregiativo usato dai cristiani per definire chiunque avesse una concezione diversa da quella imperante da duemila anni a questa parte, quella concezione della vita giudaico-cristiana, che trova nel capitalismo e nel riduzionismo ad un unicum, un evoluzione, e non, come sostengono i prelati, un antagonista.
Come sostiene Alain de Benoist, nel suo bellissimo saggio "come si può essere pagani?" la religione cristiana con il suo portato di ecumenismo e di "verità unica", di "buona novella" da portare a tutto il creato, è una base ideologica formidabile, specie nelle sue versioni protestanti, per la diffusione del "turbo-capitalismo", è della riduzione di tutto ad un unico sentire.

D'altro canto è anche inaccettabile che una cultura altrettanto egemonizzante e totalitaria, quale quella islamica, che fa il paio con quella giudaico-cristiana, quanto a fanatismo, senso di predestinazione e universalismo, pur rappresentando valori forti (buoni o cattivi che siano) di fronte alla "mollezza" valoriale dell'occidente, possa farsi largo tra le maglie della cultura ( o meglio di ciò che ne resta) occidentale e del suo diritto, per un malconcepito principio di "tolleranza". Una tolleranza che i signori islamici non hanno mai dimostrato, non solo verso le popolazioni locali dei paesi che hanno conquistato nella loro storia (per la maggior parte politeisti costretti con la forza ad abbracciare la "vera" fede), ma anche nei confronti del resto del mondo accusato di essere "infedele".
Massimo Fini, in un bellissimo articolo apparso sulle pagine de "il conformista", racconta dell'intolleranza e della mancanza di relativismo culturale che incontrò come inviato nei paesi arabi. Nemmeno i mussulmani concepiscono, l'altro da se. Dimostrazione ne sono le reazioni violente alla volontà, eterodiretta o meno, delle loro figlie, di integrarsi, anche esteriormente, nella vita delle comunità dove vivono (con conseguenze a volte drammatiche come l'omicidio).
La risposta alla convivenza tra culture cosi diverse a mio parere è semplicisticamente quella che ogni popolo viva nella sua terra, secondo le sue leggi, la sua morale, e la sua spiritualità.
Ma questo ai padroni del vapore non può andare bene: i loro lauti mercati potenziali del "terzo mondo" sono ben più importanti dei disastri che la colonizzazione e l'imperialismo da un lato, l'immigrazione di gruppi sociali incompatibili tra loro dall'altro, hanno creato.
buona-onda@libero.it
ottavino (Registered) 03-09-2009 10:50

Velo si, velo no....io preferirei che venisse lasciato portare. Ma è interessante la cosa perchè ci fa riflettere sul tema tanto caro ai liberali: Quanta libertà possiamo concedere? Naturalmente bisognerebbe applicare il dogma liberale: "fai quello che vuoi, basta che non danneggi l'altro". Siamo occidentali, la nostra cultura si distingue in questo senso.
Ma io credo che è un errore, non è realistico (e non è neanche vero, perchè nei fatti questo stile non è applicato nelle cosiddette democrazie).
Dunque la massima libertà non è il vero punto della vita sociale. Il punto è: c'è un centro di potere che opera delle scelte, che poi dovrà applicare e far rispettare. Da questo sorge la domanda: avrà la forza di farle rispettare?. E' evidente che ci saranno scelte popolari e scelte impopolari, scelte che si rispetteranno e che non si rispetteranno.
Insomma "il centro di potere", può decidere tutto quello che vuole, gli concedo la massima liceità, bisogna vedere poi quanto si sintonizza il popolo con queste scelte.
Questa impostazione, mi pare, risolve anche il problema del relativismo culturale.
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