Quale Unità, quale Italia?

4 settembre 2009

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Il gossip politico dell'estate è stato monopolizzato dalla prevedibile polemica tra la Chiesa e la Lega sugli sbarchi di immigrati, e dallo pseudo-dibattito sui festeggiamenti, giudicati insufficienti, che si terranno nel 2011 per l'anniversario dell'Unità d'Italia. Ci soffermiamo su quest'ultima querelle, abilmente montata dal Corriere della Sera attraverso la penna del suo editorialista addetto ai casi inventati, Galli Della Loggia, perchè ci dà l'occasione per porre una questione vera: il senso della parola Patria.
L'Italia è oggi, annus domini 2009, qualcosa di definibile come "terra dei padri" (chè questo significa "patria")? Chi sono i nostri padri? Cos'è che ci rende "italiani"? A queste domande si potrebbe rispondere facendo l'elenco a ritroso degli eroi e degli artefici della storia della penisola, dai Romani (per i quali l'Italia andava fino al Rubicone a Nord e non comprendeva la Sicilia a sud) passando per i Comuni tardo-medievali e le Signorie rinascimentali fino ai Cavour, i Garibaldi e i Mazzini del Risorgimento. Ma non è una lezione di storiografia quella che qui vogliamo fare, benchè sia dal passato che dobbiamo trarre il significato di ciò che siamo ora. E' proprio il qui e ora che dovrebbe emanare quell'essenza immediata, naturale, comune, profondamente e diffusamente sentita che è il patriottismo. Ebbene, il collante che dovrebbe unirci non c'è.
E non esiste per il semplice motivo che non possediamo un'immagine condivisa e rispettata del passato unitario. Per forza: l'unificazione risorgimentale è stata affare di sparute minoranze idealiste e soprattutto campo di manovra di una potenza regionale, il Piemonte dei Savoia, che ha fatto e disfatto tutto il possibile per mangiarsi lo Stivale. Plebisciti taroccati, repressioni contro i ribelli (fatti passare per "briganti"), centralismo schiacciasassi su una plurisecolare realtà di ricchi particolarismi, terra bruciata dell'economia meridionale a tutto vantaggio di quella lombardo-piemontese, negazione della questione sociale (differenza fra paese reale e paese legale) e della questione locale (le tradizioni politiche, civili e culturali pre-unitarie): fu una strage, voluta e programmata, di ciò che i popoli italici erano stati fino a quel momento.
Attenzione: fino ad allora, il senso patrio per quei popoli era dato non dalle conformazioni statali che nei secoli si succedettero caoticamente, magari sotto il tallone dello straniero (francese, spagnolo, austriaco, etc). Tranne eccezioni, come la Serenissima Repubblica di Venezia, i regni si erano creati e rimescolati sulla base di convenienze ed esigenze di pura realpolitik. Tuttavia resisteva rigoglioso un sostrato costituito dalle molto più solide e popolari usanze comunitarie, che solo la modernità e lo Stato unitario hanno in gran parte spazzato via in questi ultimi 150 anni. Gl'italiani, in altre parole, non hanno mai avuto una patria intesa come identificazione di Stato, Nazione, Popolo. Nè quando era un crogiolo di rissosi staterelli, nè tanto meno quando venne inglobata come un carciofo nel regno sabaudo. Hanno sempre e solo avuto attaccamento per il proprio piccolo microcosmo di volta in volta municipale, regionale o altro.
Da un punto di vista politico, insomma, non esistettero mai nemmeno le cosiddette piccole patrie. Se non per riconoscenza che le popolazioni davano agli Stati pre-risorgimentali in cambio della più o meno larga possibilità che essi lasciavano alla particolarità locali per sussistere e prosperare (in questo, e solo in questo senso, secondo noi, andrebbe recuperato e attualizzato il concetto di piccola patria). Ciò che rendeva italiani gl'Italiani prima del 1861 era il fatto che, giustamente, se ne stavano abbarbicati sulle proprie specificità difendendole gelosamente dall'ingerenza del potere statale di turno. L'italiano era tale per definizione perchè si sentiva un non-italiano. Era milanese, fiorentino, romano, genovese, salentino, sardo, siciliano. Ma italiano, no. E neppure asburgico, borbonico, papalino o devoto al reuccio sopra di lui.
Bisognerebbe prendere atto prima di tutto che tale localismo allergico all'amor di qualsiasi autorità è rimasto - anche se oggi, inquinato alle midolla, si mischia con l'individualismo consumistico tipico dell'Occidente moderno. E in secondo luogo che esso, fatto di campanili, piane, valli e al massimo regioni linguistiche (dialettali), è l'autentica ricchezza dell'espressione geografica chiamata Italia. D'Azeglio ha perso: gl'Italiani non si sono mai fatti. Altro che Unità.

Alessio Mannino

Commenti
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paloman@inwind.it
Montenegro (Registered) 04-09-2009 15:44

sottoscrivo anche le virgole, se mi permettete. Grande Mannino
stediludo (IP:87.0.48.55) 04-09-2009 17:40

Il processo risorgimentale che ha portato all'unità altro non è stato che un aspetto particolare del generale processo di omologazione culturale proprio della modernità. Insomma, con l'unità anche l'Italia è diventata "moderna"; è diventata "una", inglobata cioè anche lei nel dominio dell'"unico" che caratterizza il pensiero moderno. Celebrare l'unità d'Italia è celebrare quindi la "modernizzazione" del paese; modernizzazione che non può che vedere tutte le forze politiche nostrane d'amore e d'accordo, perché tutte figlie e fautrici convinte delle magnifiche sorti e progressive; Lega e movimentucoli localistici vari inclusi, che hanno scambiato la difesa e la valorizzazione del comunitarismo e del pluralismo idetitario con l'american way of life (al quale sono completamente piegati) il folklore (secondo cui l'identità equivarrebbe alle sagre paesane, alla difesa della polenta dai kebab, allo studio del dialetto a scuola e amenità simili).
Purtroppo, io non vedo proprio dove sia ancora l'attaccamento degli italiani al localismo pre-risorgimentale contro l'omologazione modernista (quello che cita Alessio temo sia solo, più che altro, l'atavico amore del "particulare", ovvero del proprio orticello, del proprio meschino egoismo di bottega tipico dell'italiano medio; ovvero cosa di cui c'è da poco da rallegrarsi e che non ci fa per nulla onore): quello che è rimasto è solo, appunto, l'individualismo consumistico di stampo occidentalista, che tale rimane anche se lo si vuol declinare in dialetto o mangiando polenta anziché kebab.
stediludo (Registered) 04-09-2009 17:45

ERRATA CORRIGE: tra "american way of life" e "il folklore" va ovviamente un "più". (non sapevo che il segno "più" nei post non viene digitato.
Nando (Registered) 05-09-2009 10:27

Ci sarà solo da scegliere, tra la Balcanizzazione o la via Ceco-Slovacca!

Ma la strada è tracciata, il nazionalismo da operetta deve finire. Per quanto ci riguarda se il Sud ha resistito a 150anni di depredazioni è ancora forte per affrontare la sfida. Ma resta da chiarire le finalità, c'è ancora voglia dell'Impero europeo?
aragorn (Registered) 05-09-2009 20:24

L'Italia è la piccola Patria del nostro futuro. Diversamente ognuno potrà inventarsi la sua, ma chi ci assicura che Catania vorrà stare con Palermo nella stessa piccola Patria siciliana, o Benevento con Napoli, che si sono combattute per settecento anni, ed oggi si ritrovano nella piccola Patria chiamata Campania?
Siamo a rischio risiko. Non sarebbe poi così male essere orgogliosi di essere italiani ed al contempo essere orgogliosi di essere napoletani, milanesi o romani. Il bello della nostra Patria Nazione è proprio questo, si può essere tre o quattro cose, a scalare e con sempre maggior orgoglio. Purtroppo l'Italia che già fu tale per volontà di Augusto, sognata da Federico II e Dante Alighieri, divenne realtà politica oltre che geografica nel modo peggiore, sotto il giogo massonico e modernista portato avanti dai Savoia, con un impianto coloniale e predatorio che distrusse la ricchezza e la dignità del Sud Italia, come ben ricordava Alessio. Ma questa è un'altra storia, sulla quale scriveremo in futuro.
aragorn (Registered) 05-09-2009 20:25

L'Italia è la piccola Patria del nostro futuro. Diversamente ognuno potrà inventarsi la sua, ma chi ci assicura che Catania vorrà stare con Palermo nella stessa piccola Patria siciliana, o Benevento con Napoli, che si sono combattute per settecento anni, ed oggi si ritrovano nella piccola Patria chiamata Campania?
Siamo a rischio risiko. Non sarebbe poi così male essere orgogliosi di essere italiani ed al contempo essere orgogliosi di essere napoletani, milanesi o romani. Il bello della nostra Patria Nazione è proprio questo, si può essere tre o quattro cose, a scalare e con sempre maggior orgoglio. Purtroppo l'Italia che già fu tale per volontà di Augusto, sognata da Federico II e Dante Alighieri, divenne realtà politica oltre che geografica nel modo peggiore, sotto il giogo massonico e modernista portato avanti dai Savoia, con un impianto coloniale e predatorio che distrusse la ricchezza e la dignità del Sud Italia, come ben ricordava Alessio. Ma questa è un'altra storia, sulla quale scriveremo in futuro.
Fabio Mazza (Registered) 06-09-2009 11:22

Come accennava DeMarco, l'idea d'Italia che era nell'ideale augusteo, di Dante, o più in generale l'ideale imperiale ghibellino, di tante piccole realtà che si riconoscono in un unica autorità spirituale e riconoscono anche un potere "dall'alto" è una cosa. Altra cosa è l'imposizione coatta di un'unificazione non sentita e non voluta ad una penisola composita e campanilisitica.
Nonostante le mie simpatie "imperiali" ammetto che la distanza che separa un emiliano da un campano per esempio, è notevole e in certi campi difficilmente superabile. Se non vi è un elemento "superiore" che incanali le legittime aspirazioni locali e valorizzi le diversità, senza volontà livellatrice, credo sia difficile poter parlare di patria comune. Credo che un discorso pragmatico sarebbe un "federalismo" spinto. Almeno in attesa di un qualche principio unificatore o di ricreare le basi di quel comune sentire che una volta era l'ideale imperiale.
belew@hotmail.it
schizoidman (Registered) 06-09-2009 14:53

Gli ultimi due interventi penso mettano a fuoco chiaramente la questione...
aragorn (IP:95.225.75.142) 06-09-2009 15:09

La parola salvifica "federalismo" sembra essere la soluzione di tutti i mali. La Lega ha costretto tutti ad essere almeno un pò federalisti, ma quando si approfondisce il tema, anche parlando con lo stato maggiore leghista, fanno fatica a negare che tutto il benessere del Nord è figlio di 150 anni di centralismo. Supremazia illegittima che oggi si vorrebbe difendere con le riforme federaliste. Questa ricerca esasperata della differenza tra italiani non porta a nulla, e non si capisce perchè per stare insieme si debba essere perfettamente uguali. Quanto alle differenze tra un campano ed un emiliano, ebbene non capisco quali siano, atteso che i campani non esistono se non come recente definizione geografica, che si compone di Sanniti ed Irpini, popolazioni italiche, di capuani di origine etrusca, di colonie della Magna Grecia, con popolazioni diversissime tra loro per storia, cultura, carattere, inclinazioni, attitudini. Se ricerchiamo la perfettà identità tra persone per identificare le piccole Patrie, ebbene credo che queste ultime finiranno per avere le dimensioni di San Marino, e sinceramente non credo che una penisola italiana fatta di migliaia di staterelli composti da tre paesi di cinquemila abitanti, abbia un senso storico, oltre al fatto che difficilmente potrà realizzarsi.
alessio (Super Administrator) 06-09-2009 17:13

Io credo invece che, politicamente parlando, la soluzione stia nel mezzo: pensare a conformazioni che rispettino da un lato il particolarismo territoriale e storico e dall'altro una certa omogeneità economica e sociale strettamente riferita all'oggi. La confederazione di tre macro-regioni più le isole sognata da Gianfranco Miglio, ad esempio - ma è solo un esempio - poteva essere una buona idea.
Alessio Mannino
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 06-09-2009 21:43

La vocazione profonda degli italiani è comunale e campanilistica. Non solo Dante ma lo stesso Machiavelli, due secoli dopo, quando dicevano "la mia patria" si riferivano a Firenze. Le maxi regioni ci sarebbero estranee come e forse più dello Stato nazionale. Se dovessimo attenerci al sentimento irriflesso dovremmo ipotizzare una federazione di liberi Comuni più che altre costruzioni artificiose come quella suggerita da Miglio. Tuttavia tutta la discussione non tiene conto di quella mutazione antropologica degli italiani lamentata da Pasolini e tuttora in atto: l'americanizzazione dei costumi, l'impoverimento della lingua nazionale e la perdita dei dialetti, il tutto ora aggravato dal melting pot dell'immigrazione. Rappresentare l'italiano come un cittadino legato alla realtà regionale o comunale e non a quella nazionale è dare di noi stessi un quadro fin troppo lusinghiero. Magari l'alternativa fosse essere regionalisti o centralisti! Saremmo ancora un popolo con un'identità.
giovanninolobelina (Registered) 15-09-2009 20:11

La vocazione profonda degli italiani è la dissociazione, se Alessio Mannino stava cercando il collante che "non c'è" è proprio sul concetto di dissociazione che dovrebbe riflettere. Perché levato questo piagnisteo (non si confonda il mio realismo per acredine)anti-italiano si trova per paradosso questa caratteristica profonda che ci appartiene ed accomuna, e che a parere mio è la causa di tutte le nostre disgrazie.

Come osservato nell'articolo salvo il caso della Serenissima tutto il resto di quello che "ci appartiene" in realtà non ci appartiene per niente ma è il solo risultato delle dominazioni subìte.

Proprio ora che lo Stato-Nazione sembra in crisi e destinato ad una notevole ridimensione (se non distruzione) del proprio ruolo a causa del processo di globalizzazione sarebbe coraggioso, anti-utilitaristico (solo nella visione d'un elettore della Lega nord, sia ben chiaro), contemplare questa propensione alla dissociazione -che poi, i padri e le madri ci piacciano o no quelli rimangono- e concludere che piuttosto d'isolarci sempre più in ambiti ristretti quali possono essere quelli regionali e provinciali sarebbe invece utile rifondare una nuova coscienza nazionale, la quale secondo me permette ancora grandi cose se sviluppata e non lasciata a sé stessa. Fare il contrario significa invece assecondare un processo che si sviluppa da sé nell'inerzia e nella nullità ideale che dilaga.
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