La crisi e l'imprevedibilità dei sistemi complessi

7 settembre 2009

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In merito alla crisi economico-finanziaria, sui siti della controinformazione prevalgono due asserzioni apparentemente contraddittorie. La prima è che i Poteri semiocculti che governano il mondo (la stegocrazia, secondo una terminologia che va affermandosi) hanno concepito e manovrato la crisi ai loro fini, convogliando denaro pubblico nelle Banche e nelle imprese private, operazione che per essere accettata dai cittadini richiedeva uno stato d’allarme talmente esasperato sulle condizioni del sistema finanziario da far temere la perdita di tutti i risparmi nella catastrofe bancaria.
La seconda è che la crisi è reale e profonda, così devastante da lasciar presagire il prossimo crollo dell’intero sistema e della stessa civiltà occidentale. Le frasi rassicuranti vorrebbero soltanto cercare di nascondere la verità e arginare il panico.
Le due asserzioni sono solo apparentemente contraddittorie, ma per dimostrare come possano coesistere occorre dare spessore all’argomentazione partendo un po’ più da lontano.
Il comunismo è crollato negli anni dell’ultraliberismo reganian-thatcheriano, ma quell’ultima fase liberista non fece altro che raccogliere i frutti di una vittoria che era stata conseguita grazie alla fase socialdemocratica del capitalismo (intendendo con questa espressione non solo le socialdemocrazie europee ma anche i governi democratico- cristiani e alcune presidenze democratiche negli USA). La socialdemocrazia ha sconfitto il comunismo.
I comunisti vantavano il loro sistema che garantiva il lavoro, l’assistenza sociale, i servizi pressoché gratuiti. Ebbene, le socialdemocrazie consentivano salari e stipendi relativamente alti, proteggevano i lavoratori anche nel caso della perdita del lavoro, con sussidi, cassa integrazione, prepensionamenti; offrivano servizi a basso costo e ben più efficienti di quelli del mondo sovietico; il tutto in un clima di libertà politica e di libertà di movimento ( le restrizioni ai viaggi all’estero, e addirittura all’interno del blocco sovietico, sono state fra le cause maggiori di malcontento). Gli stegocrati hanno accettato la socialdemocrazia per sconfiggere il comunismo, ma gli alti salari, la forza dei sindacati, i servizi sociali, non potevano essere tollerati ulteriormente. Lo dimostra il fatto che quel sistema di garanzie è stato progressivamente smantellato a partire dal crollo dell’URSS.
Per indebolire politicamente ed economicamente quei ceti, proletari e di piccola borghesia, che avevano usufruito delle riforme socialdemocratiche, i Poteri più o meno occulti hanno fatto ricorso ai due strumenti che caratterizzano la globalizzazione: la delocalizzazione e la massiccia immigrazione. Con la delocalizzazione gli impianti produttivi sono stati trasferiti dove la mano d’opera costa meno e non è protetta dai sindacati. Incoraggiando la massiccia immigrazione di moltitudini di disperati, si sono create tensioni che hanno deviato il malcontento delle popolazioni occidentali verso i nuovi venuti e si è resa disponibile una mano d’opera pronta a offrirsi sul mercato del lavoro per compensi talmente ridotti da abbassare il livello generale di salari e stipendi.
In questo modo però si sono attivate forze potenzialmente disgregatrici; si è favorita l’ascesa di Paesi come la Cina che potrebbero alterare gli equilibri geo-politici a scapito del mondo occidentale; si è dato spazio ai calcoli degli islamisti che approfittano della migrazione di milioni di musulmani per un disegno di penetrazione dell’Islam in Europa.
In conclusione: i Poteri hanno usato la socialdemocrazia per sconfiggere il comunismo, ma la socialdemocrazia alla lunga sarebbe stata minacciosa per il sistema. Hanno usato cinicamente la delocalizzazione e l’immigrazione, ma hanno così messo in moto dinamiche dagli sviluppi imprevedibili.
Allo stesso modo, è probabile che abbiano manovrato la crisi economico-finanziaria ai loro fini, ma i rimedi escogitati, che consistono sostanzialmente nello stampare carta moneta e nell’approfondire il debito pubblico, possono essere il preludio di nuovi e più devastanti cataclismi.
Ogni rimedio avvicina la resa dei conti finale. L’imprevedibilità dei sistemi complessi è un principio che vale anche in sociologia e in economia.
Per questo le due asserzioni con cui è iniziata questa breve riflessione non sono necessariamente contraddittorie. Gli stegocrati tramano e manovrano, ma si illudono di tenere il filo di un groviglio di contraddizioni non più districabile.
Allora il compito che devono prefiggersi tutti i gruppi che vanno costituendosi nella critica radicale del sistema, è quello di diventare laboratori di teoria politica e di concreta progettualità per il dopo disastro, per ricostruire sulle macerie del capitalismo che saranno anche le macerie della Modernità.

Luciano Fuschini 

Commenti
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vittoriodigiacinto
Di Giacinto (Registered) 07-09-2009 13:45

Ottimo articolo di Luciano, intervengo riguardo la parte finale, che è quella su cui poter essere utili, Movimentozero e altri movimenti sono, a mio avviso,tra le poche realtà che possono appunto creare: laboratori di teoria politica e di concreta progettualità, che aspettiamo ?
stediludo (IP:87.8.134.116) 07-09-2009 22:04

Non per smorzare gli entusiasmi, ma io con la "concreta progettualità" ci andrei piano. Non che ci manchino i modelli di società alternativi di riferimento, ma sappiamo benissimo che la distanza che ci separa dal mondo attuale è tale che, in questa fase storica, a mio avviso già riuscire ad essere concreti laboratori di pensiero alternativo e di metapolitica è già tanto. Parliamoci chiaro: già per realizzare il 30, 50 per cento di ciò che afferma il nostro Manifesto bisognerebbe far saltare in aria tutto quanto, e onestamente non mi sembra molto realistico... Ripeto: di fronte all'attuale omologazione planetaria delle menti, sviluppare e diffondere idee controcorrente è già un atto rivoluzionario più che concreto. Insomma, pensiamo a seminare, che non mi sembra poi così fondamentale - anche se umanamente comprensibile - che i frutti li si debba raccogliere per forza noi. Pensare ad elaborare proposte concrete potrebbe portare solo a prospettive "riformiste", a lievi miglioramenti di questo o quel settore dell'attuale modello, cose che, lungi dal scalfirlo, determinerebbero, paradossalmente, solo il suo rafforzamento. Anche perché, personalmente, non credo che la crisi epocale e definitiva sia dietro l'angolo; come sappiamo il sistema delle crisi si alimenta ed anche di fronte all'attuale mi pare che esso stia reagendo bene. Quindi non sprechiamo risorse per amene riforme che alle fine non farebbero altro che far disperdere ed annacquare il nostro originale patrimonio di idee e, quindi, la semina per le prospettive di lunga durata. La mia posizione, comunque, non esclude che si facciano anche battaglie concrete volte all'attualità; ma per come la vedo io queste, come le nostre idee, in tale fase non possono che avere un valore simbolico, sempre al fine di smuovere le menti e le coscienze e far capire che un altro modo di pensare e di vedere il mondo è possibile. Il dibattito è comunque aperto.
Andrea Marcon (Registered) 08-09-2009 11:12

Sottoscrivo al 100% le parole di Stefano.
alessio (Super Administrator) 08-09-2009 13:13

Anch'io (e non stupitevene).
Alessio Mannino
aragorn (Registered) 08-09-2009 14:28

Concordo anch'io con Stefano e quindi con Alessio. La fine del mondo è veramente vicina allora...
Non ci resta che sperare in un intervento di Syn o di qualche scassapalle "contro" di mestiere per animare il dibattito.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 08-09-2009 15:35

Le obiezioni di Stefano sono molto consistenti. Fondamentalmente anch'io ragiono come lui. Ho parlato di progettualità, che non è la stessa cosa di "formulare proposte". Il nostro Manifesto enuncia princìpi in cui ci identifichiamo ma che restano astratti. Come realizzare in concreto una democrazia diretta? Attraverso quali meccanismi istituzionali conciliare l'autogoverno delle realtà locali e le prerogative del potere centrale? In che modo ipotizzare un'autoproduzione e un autoconsumo che non siano l'autarchia di Mussolini e il disastroso isolamento della Corea del Nord? Aprire confronti su questi temi e giungere a una qualche enunciazione circostanziata gioverebbe alla nostra credibilità, senza scendere sul terreno di un riformismo spicciolo che fa inorridire me come tanti di voi.
max (Super Administrator) 08-09-2009 17:01

Pur condividendo in generale l'articolo di luciano e il commento di stefano, e quindi essendo anche io del parere che il sistema sia ancora ben lungi dall'essere arrivato alla sua fine, nondimeno è opportuno non farsi ingannare dal suo stato di "salute apparente".
Poichè infatti l'apparato economico industriale è una entità estremamente rigida (è infatti la rigidità della tecnica) e quindi tendenzialmente instabile, un suo crollo potrebbe accadere in tempi assai brevi (laddove per esempio un sistema assai stabile come quello medievale ha richiesto secoli per spegnersi).
Per fare l'esempio di un altro corpo rigido, un palazzo non si spegne gradualmente, ma crolla improvvisamente, laddove un istante prima pareva essere saldo al suo posto (basti pensare al crollo dell'altro apparato moderno, l'URSS, che sembrava godere, poco prima della sua fine, di una certa solidità).
Questo sistema pertanto, pur non essendo evidentemente al suo stadio finale, potrebbe avere raggiunto la sua massima espansione, e cominciare a breve la sua parabola discendente. Questo significa che improvvisamente potrebbero aprirsi spazi che poco tempo prima non si sarebbero immaginati.
E' mia convinzione oltretutto che la crisi non stia affatto rientrando, come dicono i cosiddetti esperti, bensì debba ancora manifestarsi in tutta la sua violenza, ma data la natura rigida del soggetto in questione, la discesa non può essere graduale ma a salti, e quindi difficilissima da prevedere.
m.v.
ottavino (Registered) 08-09-2009 17:13

A livello politico, noi possiamo solo promettere la riduzione. La parola d'ordine non può che essere ridurre, ridurre tutto. Tornare al reale. Il massimo dell'impopolarità!!
stediludo (IP:87.0.147.74) 08-09-2009 18:38

D'accordo con l'impostazione di Luciano: del resto credo che già questo blog sia luogo di discussione ed elaborazione di progettualità che meglio chiariscono la nostra visione di società, fino ad arrivare a vere e proprie formulazioni di riferimento.
Sulla crisi, io la vedo un po' più pessimisticamente rispetto a Max: non credo che il sistema abbia iniziato la parabola discendente, seppur lenta. Quello marxista non era un altro apparato, ma solo una regione dell'Apparato; anzi, il suo crollo può essere visto come un momento del progressivo rafforzamento dello stesso, che non tollera nemmeno che vi siano al suo interno regioni più o meno autonome.
Ma forse in questa diversa visione del momento storico parliamo di cose diverse: se guardiamo alla crisi finanziaria e del capitalismo in genere, può essere pure che siamo alla sua fase discedente definitiva; ma la finanza, il capitalismo, l'economia in genere sono solo un aspetto dell'Apparato, appunto il suo aspetto economico; ma l'Apparato, la Megamacchina, è ben altro: è l'Epoca della Tecnica nella quale noi tutti siamo e che, a guardar bene, ha meno anni di quel che sembra e, quindi, ancora un lungo cammino davanti a sé. Del resto, come si fa a pensare che la Tecnica abbia già sviluppato tutte le sue potenzialità, che, in quanto "tecniche", appaiono perciò stesse illimitate? Chi l'ha detto che la fine del capitalismo sia anche la fine della Tecnica, la fine della Modernità? Potrebbe essere proprio il contrario: la fine del capitalismo come tappa necessaria all'ulteriore espansione della Modernità... Cosa che, per molti aspetti, aveva già teorizzato lo stesso Marx (per non dire i vari Junger, Heidegger, Severino e compagnia cantando)!
Fabio Mazza (IP:93.149.19.185) 08-09-2009 19:57

Eccomi! Il dibattito langue e quindi arriva lo "scassaballe" che alza la manina e dice: ma veramente..

Scherzi a parte mi trovo d'accordo con l'articolo di Luciano e anche con parte delle obiezioni di Stefano.
Visto che la discussione tende pericolasamente a deragliare dai binari dell'articolo, per seguire l'accidentata e tortuosa strada del "che fare?", la mia visione è la seguente.
Io credo ci siamo due dimensioni del pensiero di MZ che esistono e vanno coltivate. Lungi dall'essere dicotomiche, o inconciliabili, affrontano tematiche e problematiche di gran lunga diverse tra loro.

La prima dimensione è quella che possiamo chiamare, a vostra scelta, metapolitica, filosofica, esistenziale, ideale ecc.
é la dimensione dove ci misuriamo sulla nostra idea della vita e dell'esistenza, di quello che riteniano fondamentale per un uomo e della "progettualità", intesa in senso di "dopo" una eventuale e probabile crisi planetaria di un sistema sovracarico.

La seconda dimensione è quella della realtà che ci circonda, che molto meno ideale, e molto più spicciola, si compone di argomenti che i più tra noi non adorano trattare: il governo, la politica ecc ecc. Chiamatela politica, chiamatela dimensione pragmatica, chiamatela "questioni burocratiche". Il problema è che l'essere antimoderni, non ci esime dall'essere al tempo stesso cittadini di una repubblica italiana di cui, anche se non riconosciamo il fondamento nè l'eticità come stato, di cui anche critichiamo la forma di governo "democratica parlamentare", subiamo comunque le decisioni contingenti in tutti i campi della vita, dall'ambiente, alle tasse, alla libertà di espressione, alla sicurezza, alle questioni locali che spesso si perdono nel calderone nazionale.

Per questo la mia opinione è che occorra in primis coltivare il dibattito e il confronto su tutte le varie sfaccettature dell'"antimodernismo", che sia la visione nietzchiana o evoliana, quella democratica diretta e della decrescita, o quella relativista e localisitica, ma senza dimenticare di rendere i punti programmatici del manifesto di MZ, delle concrete battaglie da mettere in atto con la nostra presenza sul territorio.
E proprio qui invece non condivido Stefano quando dice che per realizzare molti punti occorre "far saltare tutto".

La decrescita non sarà un alternativa diventerà una necessità a breve (se non lo è già).

Il concetto di piccola patria e quindi di un "localismo" orientato alle specificità territoriali e storiche delle molteplici realtà italiche, è sentita da molti anche se non con la profondità e la filosofia che gli è propria in MZ e in altri movimenti.

L'autodeterminazione dei popoli può essere portata avanti uscendo dalla Nato e riportando in patria i soldati italiani.

La democrazia diretta è un obbiettivo che può essere perseguito delgando sempre più funzioni a comuni e comunità locali e rendendo il cittadino partecipe della gestione del suo territorio.
Ecco tutti questi, in piccolo e sbrigativamente sono punti "politici" che a mio parere vanno messi per iscritto in un programma "politico" con cui MZ si misuri con la realtà circostante, non per riformarla in senso "basso", ma piantare anche i semi di un futuro che sia una nuova "età dell'oro", fuori da questo "età del lupo".
kulma (Registered) 08-09-2009 20:12

pur essendo daccordo sul non proporre un rigido modello alternativo, penso che qualcosa di più di seminare bisogna farlo. son due secoli ormai che i semi dell'antimodernismo vengono lanciati, da anarchici, primitivisti, intellettuali di destra, di sinistra e di nulla. non a caso in questo blog si citano nomi a destra e a manca. vuol dire che una base intellettuale e metapolitica c'è già. per me bisogna andare avanti. fare qualche passo in più. io è da un pò che propongo, quasi come un test di prova, ad amici e colleghi tematiche care ad mz, esponendole però in modo più "propagandistico" (diciamo anche più ignorantello). vi posso assicurare che è difficile che qualcuno mi dia torto. ognuno sente che c'è "qualcosa che non va" nel modello attuale di società, solo che nessuno ha alternative disponibili.
Fabio Mazza (Registered) 08-09-2009 22:03

D'accordo con Kulma..dobbiamo uscire dalla torre..e avvicinare le migliaia di persone che aspettano un'alternativa di vita che non sia il consumare-produrre-crepare.
Per fare questo occorre un programma d'azione politica e presupposti pratici che spazino dalle idee guida "alte" alle questioni "contingenti".
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