Modernità dell’animalismo moderno

di Stefano Di Ludovico

30 novembre 2009

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Una delle istanze che da sempre connota i movimenti ambientalisti è il cosiddetto “animalismo”, ovvero la difesa e la protezione delle specie animali da quelle azioni dell’uomo ritenute, direttamente o indirettamente, lesive delle loro esigenze vitali, istanza che comporta, di conseguenza, la ferma condanna di pratiche quali ad esempio la caccia o il consumo di carne. E’ un’istanza che caratterizza trasversalmente un po’ tutto il variegato mondo ambientalista, facendo capolino sia all’interno dell’associazionismo di impronta tecnicista e più o meno istituzionalizzato, sia all’interno delle componenti più radicali a sfondo “antimodernista”, quali la cosiddetta “ecologia profonda”. Soprattutto in riferimento a quest’ultima, l’animalismo si presenta come parte di una critica radicale della mentalità e della stessa visione antropologica propria della modernità, imperniata sull’homo faber ed oeconomicus, a cui si contrappone una diversa immagine dell’uomo e dei suoi rapporti con gli altri esseri viventi e la natura in genere, non visti più come mere realtà da sfruttare ma come compartecipi unitamente all’uomo stesso di un medesimo orizzonte di vita. In tal senso, l’ecologia profonda arriva a mettere in discussione la stessa antropologia cristiana, considerata come progenitrice di quella moderna, a causa della centralità che in essa assume l’uomo quale “signore” di un mondo messo da Dio a sua completa disposizione, rivalutando per contro le culture pagane in quanto estranee all’antropocentrismo biblico e “cosmocentriche”, quindi esaltanti una concezione “panica” tra l’uomo e la natura quali appartenenti ad uno stesso “cosmo” visto come patria e destino comuni. E’ proprio all’interno di tale posizione che si inserisce, anche nell’ecologia profonda, l’istanza animalista: gli animali sarebbero parte di tale natura con cui l’uomo deve ritrovare l’armonia perduta con l’avvento della cultura cristiano-moderna e dunque pratiche quali la caccia o il consumo di carne si ritengono inammissibili.
Ma, ci chiediamo, è davvero questo l’atteggiamento che le culture pagane hanno tenuto verso gli animali e la natura in genere? Perché se è vero che ad esse risulta estraneo l’antropocentrismo cristiano così come il successivo tecnocraticismo proprio della civiltà moderna, non ci pare che ciò per quelle culture significasse eo ipso un rispetto ed una valorizzazione delle altre specie viventi quali l’attuale ecologia, del profondo o meno, va sostenendo spesso con un’intransigenza ed un fanatismo già di per sé poco “pagani”. Anzi, ad uno sguardo più attento, dietro il presunto animalismo “neopagano” sembrano emergere, neppure troppo velatamente, istanze e valori tipicamente “cristiani” e, se è vera la tesi del cristianesimo come preludio o in qualche modo antecedente imprescindibile della modernità, “moderni” addirittura. 

In realtà il cosmocentrismo proprio delle civiltà pagane non implicava alcun rispetto e protezione per le specie animali e la natura nel suo complesso, almeno nelle forme in cui tali esigenze si manifestano nell’odierno ecologismo. Basti solo pensare all’alto valore educativo e formativo che la caccia ha sempre avuto nelle civiltà premoderne. Spesso però l’ecologismo, a sostegno della sua tesi, sottolinea il fatto che in quelle civiltà la natura e gli animali erano tenuti in così alta considerazione ed amati da essere addirittura “divinizzati” e, per questo, rispettati e protetti fino alla “venerazione”, concezione questa completamente estranea alla tradizione biblica che considerava tale venerazione pura blasfemia. A dire il vero, nessuna civiltà tradizionale ha mai ritenuto divini e dunque venerato gli animali o i fenomeni naturali per se stessi, che anzi, tale convinzione costituisce uno dei fraintendimenti tipici dell’incomprensione moderna della cultura tradizionale. Piuttosto gli animali erano considerati “sacri”, ovvero manifestazioni, “simboli”, sul piano della dimensione terrena, di principi o divinità trascendenti, a partire dalla particolare visione del mondo propria delle tradizioni non creazioniste per cui ogni realtà metafisica si riflette necessariamente in un fenomeno fisico. Ma tale “sacralizzazione” così come poteva in effetti implicare la venerazione di alcune specie, poteva altresì, in base agli stessi presupposti, portare all’atteggiamento opposto: se un animale simboleggiava un principio “demoniaco”, malefico, anziché una divinità positiva, era preciso dovere dell’uomo abbatterlo o comunque metterlo nelle condizioni di non nuocere. Se poi l’animale rientrava nella sfera “profana”, ovvero non rappresentava alcun principio trascendente, positivo o negativo che fosse, l’uomo vi era completamente indifferente, e quindi si riteneva autorizzato a farne quel che voleva senza porsi troppi problemi. Del resto è difficile pensare che uomini che in occasione di guerre o contese politiche nelle quali erano costantemente impegnati erano soliti far strage dei propri simili o renderli schiavi si facessero scrupolo ad accoppare un animale! Ma al di là di ciò, quel che sembra completamente sfuggire all’odierno ecologismo è che per la visione tradizionale la stessa “venerazione”, lo stesso considerare l’animale come simbolo di un principio benefico non implicavano necessariamente quell’atteggiamento di rispetto e protezione così come inteso ai giorni nostri: per le culture tradizionali un animale, per l’alto valore che rappresentava, poteva proprio per questo essere vittima designata di un sacrificio cruento, come avveniva d’altronde in merito all’uomo stesso; cosa che agli ecologisti odierni farebbe a dir poco rivoltare lo stomaco! E’ altresì risaputo che la stessa attività venatoria è stata sempre considerata un po’ da tutte le civiltà tradizionali come un vero e proprio “sacrificio”, dove, come in tutti i sacrifici, tra vittima e carnefice vigeva una “solidarietà mistica”, appunto quell’appartenenza ad un destino e ad un orizzonte comuni di cui anche l’attuale ecologismo tesse l’elogio ma che, evidentemente, per gli antichi comportava verso gli animali atti che gli ecologisti non potrebbero che aborrire! Sappiamo del resto che anche molti dei giochi e delle attività ludico-sportive ancora oggi praticati in molte località europee e che vedono gli animali come “vittime” (corride, corse di tori e cavalli, ecc.) non sono altro che la degradazione folkloristica di antichi riti sacrificali dal complesso significato metafisico e rituale e che tenevano in altissima considerazione l’animale sacrificato. E sono proprio quei giochi e quelle attività che maggiormente attirano gli strali dei nostri ecologisti!
Visto ciò, sostenere, come essi fanno, di ispirarsi, nei loro valori come nelle loro rivendicazioni a favore degli animali, alla cultura ed alla visione del mondo proprie della paganità e delle tradizioni non cristiane appare quanto meno ambiguo se non forzato. Al contrario, a noi sembra che è proprio nell’antropologia e nei valori propri del cristianesimo che siano da ritrovarsi le basi dell’animalismo contemporaneo, quei valori che poi anche la modernità ha fatto suoi in una versione laica e secolarizzata. Lo stesso vocabolario usato dagli ecologisti sembra tradire questa influenza: cos’altro è il “rispetto” che si dovrebbe agli animali se non l’estensione anche alle specie non umane del rispetto che si deve a tutti gli uomini? Il divieto che per gli ecologisti dovrebbe porsi a tutte quelle attività che possano recar un qualche danno agli animali non trova la sua ragion d’essere nell’umanesimo cristiano e nel conseguente universalismo morale per cui “nulla va fatto agli altri che non vorresti venisse fatto a te” esteso anche agli animali? Non si fonda sul ricomprendere anche gli animali all’interno di quel “prossimo” che il cristiano deve amare come se stesso? Non è un caso che alcune associazioni ecologiste siano arrivate ad elaborare e ad adottare una vera e propria “Dichiarazione universale dei diritti degli animali”, non facendo altro che estendere anche a questi quei “diritti umani” che dell’universalismo morale sono il risvolto giuridico e che della modernità costituiscono uno dei fondamenti ideologici basilari. In tal senso l’ecologismo non fa che portare alle estreme conseguenze la logica stessa della modernità, rappresentandone per molti aspetti l’esito finale: i “diritti umani”, da privilegio di pochi fortunati “borghesi” come all’inizio della loro avventura all’alba della modernità, estesi progressivamente a tutti i cittadini maschi, poi alle donne, poi alle popolazioni extraeuropee, infine agli animali. Su questa scia alcune correnti radicali dell’ecologismo sono arrivate a parlare addirittura di “diritti” degli alberi e delle montagne, ovvero di interi ecosistemi: anche qui il riflettersi della moderna ideologia dei diritti umani è più che evidente, nonostante anche in tali correnti non manchino richiami alla tradizione pagana, all’interno della quale, come sappiamo, anche alberi, montagne ed altri luoghi naturali erano, al pari degli animali, considerati “sacri” e dunque rispettati e venerati. Ma in realtà qui vale ciò che abbiamo detto in merito agli animali: in quelle tradizioni gli alberi o le montagne erano “rispettati” non certo perché titolari di presunti “diritti”, ma quali manifestazioni sensibili di principi metafisici (è notoria ad esempio la simbologia degli alberi e delle montagne quali “Assi del Mondo”, “Centri del Mondo”, presso gran parte delle culture tradizionali), “rispetto” che non escludeva la loro violazione o abbattimento nel caso la “manifestazione” riguardasse forze negative o demoniache.
E’ inutile sottolineare come l’umanesimo universalista e l’ideologia del diritti umani siano orizzonti completamente estranei alla cultura pagana, così come essi si leghino, invece, ad una prospettiva tipicamente antropocentrica che vede l’uomo come unico essere fatto ad immagine e somiglianza di Dio – quindi dotato di ragione e, conseguentemente, soggetto di diritti e vincolato a precisi imperativi morali verso i suoi simili – e il resto del creato completamente “desacralizzato” e soggetto a leggi puramente materiali. Più che la comune appartenenza ad un medesimo orizzonte spirituale e cosmico, com’era per le metafisiche pagane, ci pare proprio questa la visione del mondo che sottende, in ultima analisi, al moderno ecologismo, attorno al quale, al di là degli sbandierati richiami ad un nuovo e spesso confuso “misticismo”, sembrano cristallizzarsi istanze prettamente materialistiche, secondo quella prospettiva tipicamente cristiano-moderna per cui la realtà si riduce alla dialettica tra l’uomo quale ente di ragione e la natura materiale che gli sta di fronte.
Considerazioni simili possono essere svolte in merito al vegetarianismo, prassi alimentare adottata da molti ecologisti. Anche qui non è raro il richiamo alle abitudini vegetariane comuni ad alcune tradizioni non cristiane (bramanesimo, buddismo, pitagorismo, neoplatonismo), prese ad esempio contro le religioni bibliche in cui abitudini del genere non vengono affatto valorizzate. Come sappiamo, all’interno delle suddette tradizioni il vegetarianismo si legava a complesse concezioni metafisiche (riguardanti in particolare la dottrina della metempsicosi e le vie dell’iniziazione), concezioni che, anche in tal caso, non implicavano di per sé un atteggiamento di rispetto e di amore verso gli animali come invece risulta decisivo per i moderni vegetariani. Anzi, in certe tradizioni il consumo di carne veniva bandito proprio perché gli animali erano considerati “impuri” e quindi il consumo della loro carne inconciliabile con le pratiche purificatorie che i seguaci di quelle dottrine erano tenuti a seguire: anche nel Lankavatara buddista è con una certa ripugnanza che ci si riferisce alla carne animale, “che è nata – si dice - dal sangue e dallo sperma”, così come i testi medievali parlano, a proposito delle regole di astinenza alimentare che i monaci dovevano osservare, di “immondizia” della carne. D’altronde, quella “solidarietà mistica” tra uomo ed animali di cui abbiamo parlato a proposito della caccia, nelle culture tradizionali ha sempre caratterizzato anche le attività di allevamento: l’uccisione del bestiame era considerato un vero e proprio “sacrificio”, eseguito rispettando un preciso rituale simbolico, di cui si hanno degli echi nelle feste che ancora oggi accompagnano nelle nostre campagne il momento dell’uccisione dell’animale di stagione.
Come già evidenziato sempre in riferimento alla caccia, il vegetarianismo moderno tende invece a giustificare l’astinenza dal consumo di carne ricorrendo a motivazioni essenzialmente morali, quali appunto l’amore, il rispetto per tutti gli esseri viventi, che dovrebbero portare l’uomo, in nome di un ideale di non-violenza assoluta, a non uccidere nemmeno gli animali o arrecar loro sofferenze, anche se solo per soddisfare esigenze o gusti alimentari. Più che concezioni mistiche o spirituali, anche qui sembrano far capolino concezioni più che altro materialistiche della natura, per cui quella biologica è l’unica dimensione della vita riconosciuta, e quindi salvaguardare ad ogni costo questa o comunque non arrecare alcun tipo di dolore fisico agli esseri viventi è l’unico vero motivo che spinge ad astenersi dal consumo di carne, quando invece proprio una visione del mondo tendente a valorizzare dimensioni metafisiche del reale portava gli uomini delle culture tradizionali a non dare troppa importanza alla vita materiale, vita che poteva essere appunto “sacrificata” in nome di piani o ideali di vita ritenuti superiori. Anche in riferimento a ciò il binomio uomo come unico ente di ragione e natura come mera realtà materiale sembra esaurire l’intera concezione del reale del moderno ecologismo, per cui, pur di rispettare gli imperativi etici della ragione, l’uomo è disposto a rinunciare alla sua stessa natura, e quindi all’alimentazione onnivora a cui lo stesso evoluzionismo l’ha portato. E’ evidente come quindi non sia certo una visione “cosmocentrica” o effettivamente “naturalistica” anche in senso solamente materiale ad ispirare la visione dell’attuale ecologismo, quanto piuttosto un radicale antropocentrismo razionalista, che, nel caso del vegetarianismo, porta paradossalmente gli ecologisti a “negare”, invece che a “rispettare”, la loro stessa natura di animali onnivori.
Alla fine, anche in relazione alla questione dell’alimentazione, sembra riemergere l’orizzonte mondano e secolare che fa da sfondo, in ultima analisi, a gran parte della cultura ambientalista ed ecologista contemporanea, piegata anche lei, spesso suo malgrado e contro le intenzioni dichiarate di molti dei suoi esponenti, a quel dominio della Ragione materiale al quale sempre più difficilmente l’uomo del nostro tempo riesce a sottrarsi. Così, più che della “solidarietà mistica” tra l’uomo e il creato che aveva effettivamente retto le sorti delle civiltà antiche, l’ecologismo odierno rischia anch’esso di farsi banditore di una mera “solidarietà biologica”, in linea con l’inquietante scientismo imperante (tra l’uomo e la scimmia, dopo tutto, non vi sono che un paio di cromosomi di differenza…), solidarietà che la dice lunga sulla considerazione che l’uomo moderno ha innanzi tutto di se stesso. Del resto, già Platone, nella Repubblica, sosteneva che uno dei segni delle epoche di decadenza è l’esagerato rispetto di cui godono in esse gli animali.

Commenti
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pablobras (Registered) 30-11-2009 11:25

L'istinto compassionevole che molti hanno nei confronti degli animali certamente è nell'ordine naturale delle cose. Alcuni si affezionano di più agli animali che alle persone ritenendoli molto meno malvagi. Altri soddisfano semplicemente il bisogno di dominio su un altro essere. Riguardo all'alimentazione umana ormai è più che altro un business con tutte le sue storture conseguenti.
Il mondo va a soldi.Tutto è a scopo di lucro. Dei diritti lassù ai piani alti non se ne fottono un fico secco, neanche di quelli delle persone figuriamoci per gli animali.
Istinto di sopravvivenza,istinto a riprodursi,istinto ad aiutare il prossimo della stessa spece e...della spece utile.
Con questi istinti fondamentali l'uomo è riuscito a perpetuarsi tra mille avversità .
Ben vengano tutti i buoni sentimenti
ma non sovvertiamo l'ordine naturale
invertendo la classifica delle cose più importanti da fare.
Altro discorso è porsi a difensore dell'abitat naturare, cioè la nostra biosfera.
Questo si che è se non il primo il secondo di tutti i problemi da affrontare e risolvere.
Onore a tutti quelli che lottano quotidianamente contro la macchina infernale del consumismo e della crescita economica che serve solo a pagare gli interessi sul debito che il mondo degli uomini ha con questi uomini verdi, questi rettili di banchieri che sono la vera elitè dominante. Distruggiamo la biosfera per mantenere al potere questi rettili! che schifo!
Chi non ama la MADRE TERRA con tutte le sue creature è destinato a scomparire.
Chi non riesce a percepire la luce divina dentro di se proiettandola direttamente nel cosmo e collegandola al tutto, al DIO UNIVERSALE è perduto.
Senza radici e senza Dio questo animale malato non ha futuro.RICORDATELO!
max (Super Administrator) 30-11-2009 12:08

Io credo che stefano nel suo articolo non intenda negare la validità e la giustezza di sentimenti amichevoli e compassionevoli nei confronti degli animali, ma il passaggio atto a universalizzare tali sentimenti in diritti astratti validi per tutti.
E' analogo a quanto accade tra gli uomini: non è che prima della formulazione degli astratti diritti dell'uomo, l'uomo si facesse la guerra e basta...ci sono sempre stati amore, compassione, amicizia ecc, è solo che presso gli antichi non venivano universalizzati.
Per gli animali è analogo: il rapporto che l'uomo aveva con gli animali, era inserito in un contesto più ampio, e se in certi ambiti, e verso certi animali, l'uomo poteva soggiacere alle proprie emozioni e sentimenti, in altri no, perchè prevalevano altri elementi (la sopravvivenza, il sacro ecc).
E' solo con il prevalere moderno della morale (il "dover essere" del pensiero moderno che sostituisce l'"essere" degli antichi) su ogni aspetto della vita civile, che i sentimenti naturali diventano astratti e impersonali "diritti".
pablobras (Registered) 30-11-2009 12:36

si capisco cosa vuoi dire max. aggiungo che a me non piace la caccia per divertimento.
ritengo che cacciare per nutrirsi sia invece bellissimo.
regolare tutto con astratti diritti non piace neanche a me.
Per affermare la giustezza delle azioni umane si dovrebbe prendere spunto dai comportamenti primordiali e puri, dal bagaglio istintuale, non tanto dalle astrazioni e storture della civilizzazione forzata.
ottavino (Registered) 30-11-2009 14:20

L'evidenza onnivora dell'uomo non ci risolve la domanda:
Esiste un cibo migliore e uno peggiore?
Quanto il cibo influenza i caratteri umani?
Non possiamo che pensare che l'uomo è il frutto del suo ambiente. Dunque si diventa americani vivendo in america e mangiando quello che gli americani mangiano, e si diventa indiani vivendo in india e mangiando quello che gli indiani mangiano, così come gli italiani sono quello che sono, e mangiano (e bevono)quello che mangiano (e bevono).
Si nota inoltre che per il carattere indiano, gli indiani stessi non hanno mai fatto una guerra (prima degli inglesi).
Si potrebbe concludere che la dieta indiana aiuta?
Sicuramente gli occidetali hanno una dieta carnivora e questo ha contribuito a forgiarne il carattere, ma da qui ad abrogare completamente le proteine animali, il passo è lungo....
Pucciarelli (IP:84.223.158.96) 01-12-2009 02:31

Piuttosto che nella tutela delle specie animali o nel riconoscimento di alcuni loro elementari diritti io intravedo una spaventosa deriva modernista ed illuminista nel loro sfruttamento sistematico e scientifico . Anche la sensibilità dell'uomo contemporaneo nei confronti dell'ambiente non la collocherei tra le dirette conseguenze del pensiero "progressista" o "moderno" , se non si trovano nella maggior parte delle culture e società pre-industriali le stesse istanze conservatrici che a noi ormai familiari credo sia da imputare unicamente al modesto impatto che le attività umane dell'epoca avevano sugli ecosistemi . Molto interessante comunque l'articolo.
stediludo (IP:87.2.209.16) 01-12-2009 09:26

Che lo sfruttamento sistematico e scientifico degli animali (vedi pratiche come la vivisezione o i sistemi moderni di allevamento) sia espressione della modernità più bieca e aberrante - ovvero del dominio della Tecnica - non può che trovarmi, ovviamente, pienamente d'accordo.
Riguardo a ciò che ha già evidenziato a ragione Max, sottolineo che l'avvento della cultura dei diritti umani, dell'astratto moralismo universalista segna proprio la fine dell'autentico amore, dei veri e cocreti sentimenti di affetto, per gli uomini come per gli animali, che i cacciatori e gli allevatori di una volta - per stare agli animali - avevano molto più che gli urbanizzati e civilizzati animalisti dei nostri giorni. Come diceva anche Illich, il vero amore cristiano è finito quando da sentimento naturale è diventato un "dovere" (e quindi, correlativamente, un "diritto"), quando da "bene" è diventato un "valore". Come diceva Heidegger, la fine della convivenza autentica è iniziata quando si è passati dalla visione dell'"essere" a quella del "dover essere", perché se l'essere diventa un dovere, vuol dire che non lo si possiede più.
max (Super Administrator) 01-12-2009 10:26

E' stato appunto l'illuminismo a teorizzare da una parte i diritti universali e inalienabili di ogni individuo, e dall'altra la razionalità tecnica ed economica votata al ricavo del massimo utile...sono questi i presupposti del mondo moderno che si riflettono nella nostra condizione di uomini dotati di diritti -certo più dell'uomo tradizionale- ma nel contempo che percepiscono di venire spennati come polli (giusto per restare in tema di animali...). La disumanità dell'illuminismo è dunque duplice. Basti pensare a un altro esempio simile: l'epoca del pacifismo è risultata anche essere quella della bomba atomica.
Sicchè diritti degli animali e sfruttamento industriale degli stessi, unitamente alla vivisezione, non sono che le solite due due facce della stessa medaglia moderna...
Edoardo Buso (IP:93.37.154.247) 01-12-2009 14:11

Le mie qualità o forse i miei difetti mi hanno fatto essere sempre un ricercatore della fede(anche se forse il peggiore e il meno costante tra tutti)un'ateo,un'antimodernista un relativista culturale e un'animalista vegetariano convinto.
Per quanto riguarda lo spirito animalista,mi permetto di osservare il fenomeno da una cosidetta posizione esterna,in quanto nell'epoca in cui tutti si dicono cattolici e coerenti non voglio cadere in questo errore;innanzitutto l'animalismo senza sentimento(religioso o parareligioso(quello che io chiamo ateismo antimaterialista,che da corrente atea considera e riprende i valori religiosi) cioè amore della natura e di tutti gli esseri viventi;non è animalismo.L'animalismo è sintonia con la natura è mettersi in relazione con essa è contemplazione che può essere atea o religiosa.Se no diventa darwinismo,e da ateo-devoto mi permetto di criticare la scientificità del darwinismo.L'animalismo politico-sociale è una mera dottrina post ideologica borghese,diffusa tanto a destra che a sinistra,che è già in contraddizione con i valori del rispetto degli animali,pensate che un'associazione animalista di cui non faccio il nome,pretende che le razze canine che non entrano nel mercato non si riproducano oltre.Certo animalismo "pagano"politicizzato è solo uno strumento opportunistico che i potenti in nome dello spirito compassionevole dell'impero del bene,utilizzano per far passare leggi eugenetiche,pensate al neocon americano Peter Singer.

"Peter Singer, ebreo di origine austriaca, professore a Princeton, è considerato il fondatore del movimento animalista.
Singer ha puntato il dito contro la nuova aberrazione dell'uomo, lo specismo.
Questa consiste nel far coincidere i confini della morale con quelli della nostra specie.
Il professore ci ha dato un comandamento nuovo: «evitate di far soffrire creature sensibili» (quali?).
Peter Singer consiglia l'utilizzo di embrioni e comatosi come cavie.
Lo stesso personaggio ha anche proposto che «si neghi pieno diritto ai neonati» per almeno un mese dopo la nascita. La preoccupazione di Singer va oltre: lui pensa alla «situazione di un neonato con una grave malattia che non è in grado di prendere una decisione per se stesso. Qualcuno deve farlo per lui. I genitori sono a mio parere i più indicati a prendere una decisione per lui. Se tuttavia i medici reputano che stiano prendendo una decisione irragionevole, in quel caso occorre chiedere la risoluzione a un comitato medico dell'ospedale o a un giudice».http://www.effedieffe.com/rx.php?id=1349%20&chiave=uranio
Il vero animalismo è altro,l'animalismo come lo intendo io è anti eugenetista,e rispettoso verso tutte le forme viventi dall'essere umano al più macroscopico degli animali,e soprattutto è antiscientifico nel senso che disprezza la scienza e i suoi esperimenti.
Mi chiedo ma come fà un neocon americano ad avere rispetto per un'animale se si è dimostrato,i neocon non hanno avuto nemmeno il rispetto per gli esseri umani,invadendo e facendo una carneficina in Afghanistan e Irak?Certo animalismo-politico disprezza magari l'immigrato mussulmano per divinizzare un cane.Questo non è rispetto per la natura,è mera politica affaristica.

Edoardo Buso
roberto.marrocchesi@tele2.it
Misopickle (Registered) 02-12-2009 09:05

Mi sento chiamato in causa, avendo fatto da 35 anni una professione e uno stile di vita, del vegetarismo e della bataglia ecologista e di decrescita. L'Autore ci porta una disamina molto attenta del fenomeno, e la include nelle aberrazioni moderniste che MZ si propone di avversare. Vorrei puntualizzare che, se l'uomo è (anche) ciò che mangia, dunque anti-cartesianamente, l'uomo PENSA ciò che mangia...Il pensiero, se prodotto dallo Spirito umano con interazione a livello del sistema bnervoso centrale, non può essere NON influenzato dalle abitudini dietetiche, proprio come più velocemente lo è da alcool, caffeina, farmaci psicotropi.
Pertanto l'idea stessa di uomo come "naturalmente onnivoro" moderna - si, anche quella degli amici antimoderni come stediludo - è inesatta perchè influenzata dalla dieta moderna stessa, che per la prima volta nella storia è fondata non più sul cereale e sulla produzione locale e stagionale, ma sul mix di cibo animale zuccheri raffinati. Ne consegue che il pensiero si adegua, e può vedere del mondo corrente solo l'immagine che il suo cibo gli permette di vedere...Come stediludo che trova una possibile spiritualità nello scannamento rituale del porco di famiglia contadina di ieri, piuttosto che nei rituali freddi degli ecologisti di oggi. O Freud che si preoccupa delle turbe sessuali adolescenziali dei pazienti, senza curarsi degli effetti dei pasticcini viennesi che sia lui quanto il "vegetariano" concittadino Hitler ingurgitavano ogni giorno, magari con tanto di accompagnamento di cocaina (vedi biografie di entrambi).Il punto di vista individuale insomma, non può prescindere da ciò che nutre il nostro cervello.
La nostra fisiologia chiaramente suggerisce che NON siamo fatti per le quantità di cibi animali, latticini inclusi, che s'ingurgitano oggi. Onnivorismo si, ma con giudizio, e mai cibi animali e cibi raffinati come alimento base. La dieta moderna produce la follia moderna, magari mascherata da intelligenza scientista stile Hack o Veronesi o neocon.
L'alternativa newage animalista non è altro che la faccia sentimental-vegetariana della stessa medaglia modernista. Chi non mangia carni ma si butta sui caseari diventa sentimentale ed infantile (latte agli adulti, cibo per bebè), zuccheroso e piagnone come le donne sole senza figli su cui riversare amore, o tutti quelli confusi e incerti della loro identità sessuale. Un equilibrio tra queste follie moderne è come al solito da ricercare nelle tradizioni, ma non tanto nella corrida o nello scannamento "spirituale" del porco, e non di certo nelle nevrosi da WWF e Lipu.
Gli antichi semplicemente mangiavano MOLTI MENO cibi animali perchè troppo cari o indisponibili, ignoravano le diavolerie industriali dell'artificializzazione dei cibi di cui lo zucchero bianco è solo l'esempio degenere più comune, l'antesignano più illustre. Pertanto essi erano dotati di un più naturale buonsenso e di qualità semplicemente umane e meno artificiali o degeneri.
Le religioni classiche ora esse stesse sulla via modernista dell'auto-cancellazione avevano tutte un preciso codice dietetico limitante ma non escludente i cibi animali con limitazioni in specie verso quegli alimenti.Oggi resta solo l'Islam a ricordarci della barbarie della macellazione moderna (quella halàl è, che ci crediate o no, assai più pietosa e dignitosa per l'animale), l'assurdità da cannibali di nutrirsi di maiale che è troppo simile all'uomo e quindi...tossico; infine i musulmani sono orripilati della nostra morbosità nei confronti dei cani e vari "pets" su cui riversiamo sovente nevrosi e carenze prodotte dalla filosofia materialista. Nessuna meraviglia che l'occidente femminista, materialista, scientista voglia far piazza pulita e sterile di quest'ultimo baluardo contro la religione del denaro.
Non avremo mai una vera rivoluzione sociale che eviti la creazione di nuove mostruosità come fecero le precedenti, se non arriveremo prima alla rivoluzione interiore, spirituale altrettanto che biologica, individuo per individuo, che passa anche dalla presa di coscienza di esseri spirituali colla totale responsabilità di noi stessi, costruita giorno a giorno colle nostre scelte morali, filosofiche, economiche e anche dietetiche .
stediludo (IP:87.8.146.248) 02-12-2009 18:41

Il post di roberto.marocchesi contiene molti spunti interessanti. Essendo scritto in modo un po' disorganico, trovo difficile rispondere puntualmente. In ogni caso, lungi da me e dal mio articolo il considerare il vegetarianismo in generale come un'aberrazione modernista e quindi da combattere. Molto più semplicemente, ho solo voluto evidenziare le istanze moderniste che fanno capolino in alcune tendenze del vegetarianismo attuale, istanze che a mio avviso impropriamente vengono spesso presentate come rifacentesi ad una spiritualità "pagana" e anticristiana. Come accenno anche nell'articolo, so benissimo che ci sono poi tante altre divese tendenze, come quelle proprie di alcune religioni o sapienze antiche, che mi guarderei bene dal considerare aberrazioni moderniste.
Comunque trovo interessante questa riflessione su cibo e modo di pensare (della serie: dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei): Nietzsche nell'Ecce Homo sembra sostenere la stessa tesi, con considerazioni non troppo lusinghiere però sui vegetariani e tutte a favore, invece, dei "carnivori"... Pareri personali, comunque.
Riguardo invece al fatto che l'uomo è naturalmente onnivoro, mi riferivo semplicemente al dato di fatto biologico-evoluzionistico, e quindi non capisco perché Roberto dica che sono inesatto: vogliamo negare che l'uomo appartenga alle specie onnivore? E allora perché mangia e ha sempre mangiato carne da che mondo e mondo?
Ultima cosa: in genere - non mi riferisco, se non indirettamente perchè me ne offrono lo spunto, alle tesi di di roberto - a me tutte queste paranoie sull'alimentazione, su ciò che dobbiamo e non dobbiamo mangiare, mi sanno sempre di salutismo tecno-scientifico, cioè, quindi, di paranoia tipicamente moderna, espressione tra le tante della medicalizzazione totale dell'esistenza tipica della modernità e del mito della salute a tutti i costi (e quindi della fifa matta per la morte tipica dell'uomo moderno). Ovviamente mi riferisco, appunto, alle paranoie di tipo medico-fisiologiche, non alle visioni alimentari dettate da fedi o sapienze varie (quelle con le considerazion salutiste di tipo fisiologico hanno ben poco a che fare, avendo invece soprattutto una valenza "simbolica"). Insomma, io me magno quello che mi va e che me piace; quello che mi nonna e mi mamma m'hanno sempre fatto magna'! Credo che fidarsi della nonna e della mamma e lasciar perdere tutti i dietisti e i salutisti che ci ammorbano i maroni dalla mattina alla sera su ciò che fa bene e ciò che fa male sia molto, molto antimoderno, non credete?:-))
Fabio Mazza (IP:87.11.50.109) 02-12-2009 19:19

L'articolo è francamente inappuntabile.
Sono d'accordo alla lettera. Questa spiritualità in stile wicca che si dice pagana mi fa sinceramente ridere.
Per il resto visto l'interessante dibattito che si è sviluppato mi permetto di dire la mia.
Pur conoscendo Roberto e stimando la sua preparazione e la sua innegabile conoscenza della materia faccio notare che il vegetarianismo è, seppur rispettabile, qualcosa di francamente contronatura (e che tra l'altro inficia moltissime attività, quella sportiva in primis). Da che mondo e mondo l'uomo è andato a caccia (prima) ed ha allevato (dopo). Ora che la carne fosse alimento per "ricchi" è innegabile, ma vista l'economia a sussistenza prettamente familiare e locale, latte, uova e formaggi erano un cibo relativamente povero e alla portata di tutti.
Mi è francamente inconcebile pensare, (pur ammettendo che il cibo, e in particolare il cibo raffinato, vera e propria droga moderna, sia deleterio anche per il carattere), che chi beve molto latte sia sentimentale e che "regredisca" ad uno stato infantile. Ok che siamo quello che mangiamo, ma da li a pensare che il carattere subisca chissà quale mutazione dal cibo ne passa. Il fatto che certi cibi spazzatura causino problemi sia fisici che mentali è appurato. Ma non credo che cibi "tradizionali" possano causare tali squilibri. Ovviamente questa è solo la mia opinione.
Mi permetto inoltre di fare il "modernista" per una volta..
é vero che i nostri nonni, o anche i nostri avi, non vivevano "ostaggi" di diktat alimentari, ma questo era dato, a mio avviso, da due buone ragioni: la prima è che nonostante la loro alimentazione si basasse in maniera esorbitante sui carboidati complessi (pane, pasta e via dicendo) e su grassi saturi come burro e fritture varie, ciò era bilanciato in primis dall'apporto calorico totale giornaliero inferiore (non eravamo ancora "invasi" da troppo cibo come ora), e inoltre dalle attività prettamente manuali e fisiche che praticamente tutti erano costretti a svolgere (mentre ora siamo tutti, chi più chi meno, "aiutati" dalla tecnologia)ergo "bruciamo" molto meno; in secondo luogo bisogna dare atto alle scienza profane moderne di aver potuto analizzare gli alimenti in maniera certamente più approfondita di quanto si potesse (e interessasse) farlo un tempo, per cui è ovvio che molti effetti collatterali di assunzione prolungata di certi cibi spesso non venissero considerati, quando non erano comunque annullati dalla "vita attiva" di cui sopra.
La conclusione è che l'effetto di certi cibi sui nostri avi era certamente diverso rispetto a quello che tali cibi hanno su di noi. Difatti se mangiassimo tutti i giorni la "cucina della nonna" ci verrebbe un colpo a 40 anni, perchè la quantità non è la stessa che si mangiava ai bei tempi; non è la stessa la vita "faticosa" che facciamo, oltre che l'origine industriale degli stessi.
Misopickle (Registered) 02-12-2009 20:09

mi tocca replicare, un po controvoglia, ma vuol dire che non son stato esauriente. Non sono vegetariano ma onnivoro, semplicemente ritengo che a suon di ECCESSI dei cibi nefasti i moderni umani han notevolmente abbassato la loro salute, resistenza, lucidità e capacità di giudizio. Tutto questo ben alla larga dalla scocciatura dei vari saccenti del politically correct magro e paranoico. In realtà, ORA,E non invece ai"bei tempi della Nonna" si muore obesi, di diabete e cancro, a ratei senza precedenti. e la follia umana raggiunge nuove vette e milioni di persone, tutto di certo grazie alla modernità, le sue angosce esistenziali, e la sua dieta scientifica. Ho distillato le mie certezze - non teorie si badi, ma fatti accertati - dalla Med.Trad. Cinese vecchia di 4000 anni, ma pure da frammenti nostrani come Schola medica Salernitana ed altri. Quel che la mamma e la nonna non sanno è che il pane di oggi NON è pane, e a maggior ragione la carne, il latte...inoltre, i cibi iper-nutrienti non sono mai stati così sovrabbondanti, e così si è rotto l'equilibrio della salute, ancor più sul piano mentale. Oggi le mamme e le nonne son le prime a fidarsi del medico, dei vaccini, della TV, ed han fatto strame di buon senso e delle tradizioni grazie a tali cattivi maestri.
stediludo (Super Administrator) 02-12-2009 20:39

A scanso di equivoci, quando parlavo di mamme e nonne parlavo in senso metaforico, ovvero delle mamme e delle nonne dei bei tempi andati, non certo di quelle di oggi, anche loro vittime - e quindi carnefici dei loro figli - del mito salutista.
Fabio Mazza (Registered) 03-12-2009 10:12

Ok Roberto, credo che stiamo dicendo la stessa cosa. Come la modernità ha creato delle malattie prima inesistenti, ha anche alterato il cibo, di conseguenza mangiare come si mangiava 60 anni fa è deleterio per l'essere umano..
Pucciarelli (IP:84.223.159.123) 05-12-2009 06:15

Mi trovo - purtroppo - a fare un piccolo appunto alla considerazione di Fabio Mazza riguardo all'innaturalità del vegetarianesimo ed alle presunte conseguenze nefaste nei confronti dell'attività sportiva di questo tipo di dieta. Personalmente posso testimoniare che dal 94 - anno in cui intrapresi definitivamente una dieta vegetariana piuttosto rigida che minimizza l'apporto di latticini - non mi sono mai ammalato e sono riuscito ad intraprendere un' intensa attività sportiva senza alcun problema di sorta .Di fatto alcune figure leggendarie dello sport "estremo" sono state vegetariane se non addirittura vegane : Dave Scott per l'Iron man , Scott Jurek per le ultra running , Ruth Heidrich sempre per l'Iron man , Walter "Killer" Kowalski per la lotta libera ... Senza contare l'incredibile logevità di alcuni popoli dediti al vegetarianesimo , gli Hunza - citati a più riprese anche da Massimo Fini - o gli abitanti delle isole Marianne che ,pur nutrendosi esclusivammente di vegetali , erano dotati di una forza e di una resistenza eccezionali . Neghiamo pure in tutta tranquillità che l'uomo si sia nutrito sempre di carne ..
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