Una riflessione sulla decrescita

di Daniela Salvini

13 settembre 2010

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La decrescita è argomento che mi appassiona da quando ne ho sentito parlare per la prima volta, qualche anno fa, da Mauro Bonaiuti, un professore dell'Università di Modena, che naturalmente prendeva spunto dall'inventore di questo termine, ovvero Serge Latouche. Con il concetto di decrescita finalmente si riescono a mettere in discussione i pilastri dell'economia politica tradizionale che supportano e giustificano il sistema capitalistico e la sua necessità di svilupparsi dinamicamente, trasformando il denaro e gli altri strumenti finanziari da mezzi di scambio a fini ultimi per l'arricchimento. Poiché sappiamo a qual punto il volto attuale del sistema, così globalizzato, condizioni l'intera umanità senza che si riesca a venire a capo di qualche tentativo di superamento o cambiamento di rotta, la decrescita è un'eventualità che non equivale a crescita negativa, come avverrebbe per uno "sboom" economico, una recessione coatta. Allo stesso tempo sembra sfuggire ad una definizione precisa. E' però parola già familiare, e se pochi sono quelli che riescono ad immaginare come può essere messa in pratica, magari senza costrizioni, semplicemente indotti dal bisogno, materiale e morale, molti sono quelli che dicono che comunque andrà, non sarà serena, ma conseguenza di un processo violento e devastante.
Gira e rigira, quando si critica il sistema attuale e l'economicismo esasperato in esso presente, si cerca subito di immaginare un'alternativa, e non è facile.
Considero la decrescita una proposta veramente radicale e destrutturante, come hanno ben detto Badiale e Bontempelli, ma sono convinta sia anche un diverso paradigma culturale come pensa Pallante, o un modo per uscire dall'immaginario dominante come dice Latouche.
Recentemente queste persone si sono soffermate su decrescita e Welfare state. Nella prospettiva attuale della crescita, si dice, la spesa statale dovrebbe aumentare sempre, per consentire maggiori servizi sociali, e richiedere più entrate, le quali, a loro volta, essendo più o meno proporzionali al Pil, potrebbero salire automaticamente con esso. La visione di destra, liberal-liberista, sbandiera a gran voce la parola d'ordine  “più Mercato e meno Stato”, quella di sinistra, socialdemocratica, sostiene al contrario “meno Mercato e più Stato”. Pallante propone un diverso slogan: “meno Mercato e meno Stato”. Poiché le merci si differenziano dai beni, Pallante afferma che occorre concentrarsi su questi ultimi e ridurre le merci. Il Welfare state, che è stato il cavallo di Troia per estendere la mercificazione ai rapporti umani, non può continuare, va ridotto, riportando i servizi sociali nell'ambito del dono e della reciprocità. Nelle famiglie, con tre generazioni, i nonni possono essere rivalutati per la cura dei bimbi, e gli anziani assistiti senza il ricorso, o comunque con un minore ricorso, alle strutture pubbliche o alle badanti straniere. La famiglia allargata può assolvere molti compiti che oggi sono realizzati dai pubblici poteri.

Questa posizione è stata definita di decrescita reazionaria, da Badiale e Bontempelli. Encomiabile il loro sforzo di abbandonare la via della crescita e di trovare una diversa via per la decrescita, persuasi di poterla conciliare con il marxismo, e cercando di andare al di là della sinistra e della destra storicamente determinate. Vorrei che anche la destra abbandonasse discorsi fumosi sul recupero della tradizione per aiutarci ad affrontare una realtà per certi versi insopportabile.
Badiale e Bontempelli non sono del tutto convincenti. Essi pensano ad una diminuzione del Pil senza riduzione dei servizi sociali, possibile con una forte redistribuzione del reddito e maggiori entrate statali (come si fa ad ottenere l'applicazione di imposte patrimoniali, che presuppongono una manovra dall'alto, una presa del potere!), accanto ai quali far crescere un Welfare state “decrescista”, basato su rapporti di scambio volontari e gratuiti fra famiglie, di uno stesso condominio ad esempio, per ricreare una sorta di piccole comunità, di kibbutz all'italiana.
Riconosco che questo dibattito entra nel cuore del problema e credo che le due vie suggerite debbano essere prese in considerazione entrambe perché non esiste, non ancora almeno, un modello valido sempre e comunque. Se la decrescita s'imporrà forzatamente, per crisi economiche e in seguito a sconquassi planetari, le comunità locali potranno cercare di far fronte ai loro innumerevoli problemi, e tanto meglio se ci sarà qualcuno, con qualche linea guida in testa.
La costatazione che a fronte di una crescita della popolazione italiana del 25%, le case costruite sono aumentate del 250%, fa pensare, per esempio, che sia buono il suggerimento di Badiale e Bontempelli di consentire alle famiglie di occupare le case di proprietà altrui. Ma come, con quali criteri? E come farlo nel rispetto della legalità?
Forse non basterebbe poi un tetto sulla testa, forse occorrerebbe un modo più umano di abitare, che tenga conto delle esigenze delle persone d'oggi. Mi vengono in mente case con sistemi a vasi comunicanti, che permettano “lo stare insieme”, ma anche “lo stare soli”, come e per il tempo che si vuole.
Pallante recupera, per la realizzazione di servizi sociali gratuiti, la famiglia allargata premoderna, tout court. E' vero, ci sono delle famiglie nelle quali i nonni aiutano i figli e i nipotini, e viceversa, ma questo non basta. Si può tenere in conto, in contemporanea, l'osservazione di Badiale e Bontempelli, per la quale è indubbio che siamo abituati dalla Modernità a fondare i legami sociali sulla scelta responsabile e razionale, e che non possiamo tornare indietro idealizzando la famiglia patriarcale che sappiamo, anche solo indirettamente, essere piena di difetti? Per me sì.
Loro esaltano i rapporti spontanei. Non posso escludere che c'è del vero in questo. In alcune situazioni i rapporti di vicinato sono splendidi, e si potrebbero immaginare forme di collaborazione e di aiuto reciproco, ma trovo che siano casi rari. Se guardiamo alla realtà attuale prevalente e pensiamo ad un aumento costrittivo della scarsità, immagino di più che possa emergere gente pronta ad arraffare, perché la prepotenza sa vincere, nelle anonime città come nelle comunità locali dove tutti si conoscono.
Alla fin fine queste proposte costruttive, suggerite, appaiono difficili, astratte, quasi delle utopie. Mi pare che con la mentalità prevalente non ci si arrivi, che occorra un cambio forte, molto forte, affinché  famiglie assemblate a caso in un condominio possano organizzarsi in modo stabile e duraturo, come viene suggerito. In modo volontario poi. C'è ora un individualismo esasperato, che impera ed è ben coltivato da chiunque, destra, sinistra e centro, fra i ribelli e non.
Provo anche a pensare alle testimonianze di persone, anche lontane, legate da vera amicizia, che sanno aiutarsi. Mi piacerebbe sapere come fanno. Ben vengano i loro insegnamenti, le loro esperienze. Allora tutti i progetti, volontari o meno, modelli diversi, temporanei o duraturi, realizzati dalle circostanze o costruiti a tavolino, mi paiono avere dignità, essere utili, necessari, per dare la possibilità a chi vuole tentare, di provare. Se non abbiamo la verità in tasca c'è bisogno di consentire in anticipo la possibilità a chi si pente, a chi non vuole più, di abbandonare il percorso tracciato, di cambiare strada e provare qualcosa d'altro.
In conclusione vorrei dire che è il momento di affinare il nostro spirito di osservazione per recuperare ciò che è stato e che era buono, ma anche quel che c'è, o potrebbe essere, tenendo presente che cerchiamo risposte oneste e giuste, antimoderne, non premoderne.

Commenti
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kulma (Registered) 14-09-2010 14:49

Ciao Daniela, complimenti per quanto hai scritto. Condivido molto il tuo richiamo ad abbandonare discorsi fumosi e ideologizzati sia a destra che a sinistra.
Io penso che per un "welfare state decrescista" si potrebbe immaginare un "meccanismo" basato sul concetto di sussidiarietà, come propone De Benoist quando riprende le teorie di Althusius sulla sovranità. Partire dal basso (dalla famiglia) per arrivare, attraverso una stratificazione "labirintica", a delegare compiti e servizi a strutture via via più grandi (condominio, quartiere, comune,...). Tutto ciò ovviamente presuppone una ricostruzione del tessuto sociale, ormai totalmente polverizzato.
Sull'astrattezza delle proposte di decrescita bisogna ricordare che, come scrive Latouche, ogni alternativa che mette in discussione la realtà presente è intrinsecamente utopica. Un'alternativa realistica è un ossimoro.
barbaranotav (Registered) 14-09-2010 16:08

Conosco molto bene il movimento della decrescita, ne faccio parte e Pallante non rifiuta certo cosa sia stato creato di buono nell'era moderna, in quanto frutto moderno e basta. A PATTO DI ANALIZZARE SE VERAMENTE SIA POSITIVO, questo è l'unico discrimine.

Mi piacerebbe sapere dove l'autrice abbia tratto questa impressione.

Inoltre, se sono antimoderna mi pare ovvio che mi ispiri e guardi al premoderno, non capisco perché l'autrice vede in contrasto "antimoderno-premoderno".

Sia dal passato che dall'oggi si possono trarre modelli sani ed oggetti utili, dipende non certo dalla data che tali modelli o oggetti hanno.
buona-onda@libero.it
ottavino (IP:213.243.235.89) 14-09-2010 17:07

E' una vita che sostengo che il welfare state va abolito. Da molto prima della nascita dell'idea della decrescita felice.
Ma non si abolisce per cattiveria, perchè vogliamo male agli altri o perchè siamo libertari. Si abolisce perchè non possiamo permettercelo. Tutto lì.
Io credo che il pensiero anti-moderno sia essenzialmente un pensiero povero, o meglio del povero. Che cosa fa un povero? Semplicemente non spende. Non ce li ha e quindi non spende.
Al contrario il pensiero moderno è il pensiero del ricco, del "che ci va, ci vuole", di colui che vuole "lasciare un segno". E dunque la modernità con la tecnica e la scienza, con i loro "enormi passi avanti", non sono altro che il terreno che ha permesso l'attecchirsi di questa mentalità.
Per come lo vedo io l'anti-moderno è uno "vaccinato" nei riguardi di ogni crescita, di ogni trucco (perchè gli umani sostanzialmente amano prendersi in giro). Non è detto che fosse così per i pre-moderni.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 14-09-2010 17:59

Il tema della decrescita è di fondamentale importanza per noi, perché è il punto di contatto fra il discorso antimoderno in chiave di riflessione storica e culturale e la contingenza politica ed economica. La decrescita è il tema che potrebbe consentire qualche convergenza con altri movimenti e gruppi. Pertanto ben vengano articoli come questo. Credo di comprendere il senso della distinzione fra antimoderno e premoderno, che ha suscitato perplessità in barbaranotav. Appellarsi alla premodernità in modo acritico significherebbe presentarsi semplicemente come dei nostalgici dei tempi passati. Essere antimoderni significa invece rifiutare la modernità prospettando comunque alternative che non possono essere una pura e semplice riproduzione del passato, attingendo a valori perenni e a modelli antichi che vanno coniugati in contesti nuovi.
kulma (Registered) 15-09-2010 09:20

Per chiarire meglio la distinzione tra premoderno e antimoderno mi è tornato in mente un pezzo di un intervista a De Benoist che avevo letto proprio sul sito di MZ. In questo pezzo De Benoist fa una critica all'atteggiamento "premodernista" della "vera destra".

Dice:
Quanto alla "vera destra", non ha mai smesso di marginalizzarsi e di ritirarsi come una pelle di zigrino. Sempre più dimentica della propria storia, tutto il suo implicito sistema di pensiero si riassume, in fondo, in una frase: "Era meglio prima", sia che quel "prima" risalga agli anni Trenta, sia che rimandi all'Ancien Régime, al Rinascimento, al Medioevo o all'Antichità. Questa convinzione, anche in quel che può avere di puntualmente esatto, alimenta un atteggiamento o restauratore, che la condanna al fallimento, o puramente nostalgico. In ogni caso, ci si limita a contrapporre al mondo reale un mondo passato vissuto a mo' di fantasticheria idealizzata. Fantasticheria dell'origine, fantasticheria del passato semplice, nostalgia irreprimibile della matrice originaria che segna l'incapacità di accedere all'età adulta. Lo scopo è tentare di conservare, di preservare, di frenare o di trattenere il corso delle cose (viene da pensare al katechon di cui parlava Carl Schmitt), senza una chiara consapevolezza delle ineluttabili concatenazioni storiche. La grande speranza sarebbe quella di far ricomparire il prima, di ritornare indietro - al tempo in cui tutto era così migliore. Ma dato che, ovviamente, ciò è impossibile, ci si limita a un atteggiamento etico, con lo scopo di "testimoniare". Politicamente, questa destra non ha più alcun particolare telos da realizzare, giacché i suoi modelli appartengono al passato. Siamo arrivati al punto in cui essa non sa neppure più bene che tipo di regime politico vorrebbe vedere affermarsi.
max (IP:95.237.102.224) 16-09-2010 08:59

E' evidente che per una qualsiasi formazione che non abbia finalità puramente culturali richiamarsi interamente al passato non ha senso. Resta però sempre il rischio che una qualsiasi azione venga fagocitata da un sistema onnipervasivo finchè non diventi funzionale ai propri scopi. Per esempio la decrescita in tali condizioni sociali corre il rischio di arrestarsi a posizioni di salvaguardia e tutela ambientale. Per questo secondo me il tempo per una azione concreta in chiave "rivoluzionaria" non è ancora giunto.
Nello specifico, a mio parere la chiave di volta nell'applicazione dei princìpi antimoderni al tempo presente consiste nel concepire una realtà economico-sociale statica anzichè dinamica. Questa concezione, pur ovviamente essendo ben lungi da configurarsi come antimodernità in senso stretto, costituirebbe già un passo importante nel minare i princìpi distruttivi di questo sistema. L'antiprogressismo della decrescita sfocierebbe quindi nella concezione di una società che mantenga una sensibilità in buona parte moderna -e questo sarà inevitabile- ma senza quella tensione dinamica così deleteria sia per l'uomo sia per la realtà circostante, sia essa economica, sociale o culturale.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 16-09-2010 13:09

max come sempre penetra nel nucleo profondo dei problemi. Io darei più credito ai movimenti della decrescita, che non sono assimilabili al semplice ambientalismo. Tutta la concezione su cui si basa questa proposta presuppone proprio un tipo di economia e di società più statico, sottratto ai ritmi nevrotizzanti del sistema dominante.
MarMar81 (Registered) 18-09-2010 11:26

Ciao Daniela e ciao tutti/e, l'argomento del tuo brillante articolo mi coglie nel vivo perché sono iscritto al movimento Alternativa di cui fanno parte Badiale e Bontempelli. Badiale ho avuto modo di conoscerlo di persona a Genova in quanto è coordinatore ligure del movimento. Riguardo alla astrattezza di certi teoremi decrescisti, va detto che in Alternativa al momento è in atto un importante dibattito sulle "modalità pratiche" di attuazione della Decrescita, se ne è parlato a lungo nell'incontro genovese del 7 settembre e si continuerà a farlo in quello di ottobre. Bisogna calare i concetti di Decrescita nella vita di tutti i giorni, ma non è facile perché ci sono diversi ostacoli, il più pericoloso dei quali è sicuramente il mondo dei media che attraverso la pubblicità hanno "catechizzato" miliardi di persone al consumismo e alla concezione liberista dell'economia. E' un compito arduo, ma è importante essere uniti in questa battaglia, al di là di possibili divergenze di pensiero su dettagli della questione.
daniela (IP:151.15.172.207) 19-09-2010 08:18

Personalmente non credo che il Welfare vada abolito, come dice Ottavino. Ci sono attività molto specialistiche che una struttura pubblica può fare meglio e a favore dell'intera comunità, ma sono d'accordo con quanto suggerisce Kulma. La sussidiarietà è un principio da accogliere, buono il suggerimento che possa essere applicata ad un tessuto sociale riscostruito, per forza diverso dal nostro. Ciò che indichiamo con decrescita non è una diminuzione di tutto ciò che può servirci, un fare a meno. Non dobbiamo secondo me ragionare ancora una volta in termini di quantità, in termini di PIL. Ricordiamoci che ciò che fa crecere il PIL sono anche gli incidenti stradali, l'economia sommersa (attività in nero e illecite). Non possiamo lasciare solo ai poveri, ai depredati, l'iniziativa di attuare la decrescita. Chiunque si renda conto che eliminare questo o quello, che il sistema ci propone continuamente, ossessivamente, non dà senso di perdita, ma di liberazione, e che può farlo, può cominciare subito. Questa possibilità, dal basso, per me non va sottovalutata. Non vuole essere un progetto riformista questo. Oggettivamente mina alla base i pilastri su cui l'economia della crescita è basata.
Inevitabilmente guarda a d un sistema che non c'è, a un stabilizzazione dell'economia che non c'è, pensa più in termini di statica che di dinamica, come descritto da Max.
Sono contenta che nel complesso il blog abbia gradito questa discussione, che secondo me, è appena cominciata e ha bisogno di ulteriori e tanti approfondimenti. Mi sembra che il contatto con il movimento Alternativa per scoprire, tra altre cose, le "modalità pratiche" della decrescita, non possa che essere salutato come beneaugurante.
Ciao a tutti.
Giovanni Marini (Registered) 19-09-2010 15:52

Ma veramente il welfare state si può sostituire con i buoni rapporti di vicinato, con i doni,con i nonni che accudiscono i nipotini,insomma con le buone ma astratte intenzioni?
Sara70 (Registered) 20-09-2010 10:35

Ci sono idee che attendono il loro momento per essere riscoperte e realizzate ma solo a seguito di eventi traumatici come il cataclisma totale della Nostra società.
Carlo070580 (IP:88.46.45.82) 21-09-2010 18:15

Anche a me l'idea di decrescita affascina, ma sinceramente penso che per attuarsi abbia la necessita' che le persone

raggiungano un livello di inteligenza civile, che ora non hanno.
La prima differenza tra la societa' occidentale e quella orientale sta proprio nel fatto che in oriente la

comunita' viene prima del singolo, e questa mentalita' e' radicata profondamente nella societa', negli usi, nei

costumi e nelle abitudini delle persone, persino la religione.
La religione cristiana, parla della capacita'del singolo di amare, e del valore della persona, essa stessa e' piu'

individualista e romantica delle religioni orientali.
La decrescita parla di collaborazione e condivisione, ma l'individuo e la sua identita' tende a sbiadirsi a fronte

dell'identita' della comunita'.
La societa' occidentale prima di esprimersi nell'esasperazione del capitalismo, si esprime come espressione del

singolo, la proprieta' privata e' la prima pietra su cui e' stato costruito tutto l'occidente e rimane tuttora

fondamentale per l'identificarsi delle persone.
E' probabile che solo facendo un passo indietro, rinunciando a qualcosa di noi, delle nostre idee, delle nostre

aspirazioni personali, della nostra stessa identita', e' possibile che la gente raggiunga uno stadio di

similitudine tale da stare assieme e condividere la propria vita con gli altri, proprio perche' vengono a mancare i

motivi di contrasto, dati proprio dalla nostra voglia di essere diversi e unici.
Purtroppo pero' la crisi economica ha generato paura nelle persone e questo le ha spinte a chiudersi, a barricarsi

per paura di perdere quello che hanno ottenuto a fatica nella loro vita e non lo condivideranno se non costretti.
La globalizzazione commerciale ha portato la competitivita dalle aziente alle persone, e questo secondo me e'

molto, molto pericoloso, perche' se le persone non riusciranno a diventare 'cittadine del mondo' attraverso un

passaggio inteligementemente gestito e graduale, rischieranno di scannarsi tra di loro per la sopravvivenza come

gia' fanno le aziende, basta guardare la rabbia xenofoba di cui la lega nord si fa' voce, per capire che questo

sta' gia' succedendo.
ottavino (Registered) 23-09-2010 20:17

Bravo Carlo! Sono d'accordo! Ecco perchè l'occidente si deve schiantare! Perchè sono dei duri attaccati alle loro proprietà! La visione collettiva la chiamano "dittatura" o "comunismo"....e condivido anche la fugace visione che ci hai dato della chiesa...Ottimo!
belew@hotmail.it
schizoidman (Registered) 30-09-2010 11:30

Penso sia necessario fare un minimo di analisi. "Welfare state" non è un termine che deve essere adoperato come un simulacro, il "welfare" è un termine che racchiude classicamente diversi servizi. Alcuni di questi servizi vengono resi dallo Stato perchè il numero dei destinatari che necessitano di tali servizi è ingente e la mancanza di tali aiuti provocherebbe un collasso economico. Sto parlando di strumenti come gli "ammortizzatori sociali" indispensabili in un regime di libero mercato assoluto ma in sè aberrazioni: dare ricchezze di qualsiasi tipo ad esempio, a chi non fa nulla, è una follia totale in un economia statica. Anche nell'ancien regime, almeno formalmente finchè esso non si è decomposto, i privilegi dovevano essere giustificati da un ruolo (aristocrazia) o da un compito (sacerdoti) o da una mansione (cavalieri). Questo tipo di welfare andrebbe abolito in un ottica di decrescita economica così come l'istruzione di massa garantita a cani e porci, soprattutto l'università.
Altro caso sono invece quel tipo di servizi che lo stato rende al singolo qualora il costo per esso di tale servizio indispensabile non è nelle possibilità dell'individuo e sarebbe immorale ed incompatibile coi nostri valori prepolitici non fornire in un ottica di solidarietà umana: penso ovviamente alla medicina. E' infatti assolutamente immorale lasciare morire una persona quando essa può essere salvata da uno sforzo della comunità. Chiaramente penso ad una medicina diversa, non eterodiretta dal mercato, dove i farmaci inutili spariscono dalla circolazione, dove comunque si sta attenti a fornire servizi realmente indispensabili senza sprechi, dove ad esempio operazioni di chirurgia estetica ed altre assurdità come il cambio di sesso (problemi che francamente più che dal chirurgo si risolvono dallo psichiatra) non vengono fornite coi soldi pubblici. Una medicina di tipo soprattutto preventivo come ad esempio quella tradizionale cinese ma che in casi necessari può anche servirsi dei metodi "hard" della medicina chimica e tecnologica.

Altro aspetto che merita un analasi è la questione posta secondo cui rinunciare al welfare state implicherebbe una grosso senso civico della popolazione o un rinsaldarsi di forti legami comunitari o il risorgere della famiglia patriarcale o allargata a nonni e zii. Bene, questo secondo me, è un falso problema. Perchè è impostato male. Questo discorso ha senso solo se si ha la possibilità di scelta tra il sistema attuale e un ipotetico sistema decrescitazionista. Mi spiego meglio: se devo scegliere di comportarmi (io e altri che hanno la mia stessa idea ad esempio) secondo principi decrescitazionisti, per far fronte alle difficoltà che tale scelta impone devo si avere dei comportamenti di forte abnegazione che facciano ricorso al mio senso civico, comunitario e familiare. Ma ecco dove sfugge un punto cruciale. Se invece la decrescita si dovesse imporre su tutta la società, un economia di tipo statico che ne deriverebbe COSTRINGEREBBE ad avere certi comportamenti indipendentemente dai nostri buoni sentimenti, senso civivo o senso della famiglia. Certe forme di aiuto, scambio, sussidiarietà, ecc... diventerebbero indispensabili per una vita decente senza se e senza ma. Certi sentimenti e modi di percepire la comunità cambierebbero forzatamente nel tempo senza bisogno di un risveglio a tavolino e razionalizzato di certi valori che diciamolo francamente sa molto di progressismo umanitario in una salsa un pò modificta.

Ultima cosa, già anni fa, nel 2006 o 2007, ci fu uno sterile dibattito tra chi sosteneva l'antimodernismo e chi il premodernismo con tutti i problemi derivati. Io penso che anche questo sia un falso problema. Essere antimoderni implica per forza il guardare con sospetto alle novità anche se in antitesi all'attuale modernità. Non abbiamo bisogno delle ennesime nuove soluzioni da sperimentare bensì di guardare al passato per reintrodurre in maniera ragionata e graduale certi aspetti premoderni nell'attualità. In questo senso i nostri valori e i nostri principi devono dirsi premoderni senza paura di essere definiti reazionari.(Pallante stesso pur venendo da sinistra ha detto spesso qualcosa di simile. Ricordo ad esempio una discussione avuta con Lui a maggio scorso dove si dichiarò ormai un conservatore per molti aspetti). L'alternativa a questo atteggiamento, infatti, non è l'antimodernità bensì la post-modernità, che tutti spero giudichiamo allo stesso modo: una cazzata. Ovviamente ha però ragione De Benoist nel dire che puntare ad un reinserimento di principi premoderni non può voler dire vagheggiare età dell'oro o chiudersi in proposte sterili e nostalgiche. In quanto "reintroduzione" in un mondo che è quello che è, le strategie devono essere inedite e all'altezza dei tempi e non essere puerilmente radicate in schemi massimalisti e logori come quelli proposti da certa destra.

Alberto Cossu
daniela (IP:151.15.187.185) 01-10-2010 08:43

Il tuo intervento, Cossu, è molto stimolante. Suddividi i servizi di Welfare in categorie, quelli aberranti e quelli utili, come l'assistenza sanitaria, da mantenere ma da rivedere nelle linee di fondo perché quelle di oggi sono deviate verso falsi obiettivi, o, aggiungerei io, utilizzate dai furbi, che difficilmente sono i veri poveri, che ne avrebbero bisogno ma che non possono pagarseli. Non sono d'accordo sul fatto che tu inserisci l'istruzione nella prima categoria e non nella seconda, pur con tutte le precauzioni che segnali a proposito di questa.
Quanto ai falsi problemi, ci andrei piano. La solidarietà e i buoni sentimenti non sono innati e ovvi. Ci stiamo abituando all'idea che abbandonare i propri vecchi, uccidere per ereditare, eliminare chi ostacola, e tante altre crudeltà, sono cosa quasi "normale". Non c'è, nei più, una morale che frena e guida.
In un mondo di crescita negativa, poi, non si attua la decrescita, così come è stata concepita in linea teorica. Secondo me occorre un'educazione che tu hai ma che la maggioranza non avrebbe neppure in caso di necessità.
Sono perfettamente d'accordo con te nel tuo modo di concepire l'antimodernità e non ho più paura della parola della parola "reazionario" da quando ho realizzato il significato che dai tu a questa parola.
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