Mariti deracinès

19 novembre 2011

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Nanni Moretti, nel film "Aprile", ci offre una bellissima e molto veritiera rappresentazione delle ansie di un padre moderno, rispettoso della dignità della donna, alle prese con la nascita del suo primo figlio. C'è tutto, l'indecisione nella scelta del nome, l'ansia per il futuro professionale del bambino, la partecipazione alla scelta del corredino. Ma soprattutto c'è il dilemma principe dei mariti alle prese con l'imminente paternità: la scelta se essere al fianco della moglie durante il parto. Nel film il protagonista parla al telefono e dice che ha chiesto ai medici di poter assistere al parto, aggiungendo con qualche senso di colpa di sperare in una risposta negativa che lo toglierebbe dagli impicci. Ma la risposta negativa tanto agognata purtroppo non arriva, e così, con la faccia pietrificata dal terrore e il camice verde già indossato, si decide ad entrare in sala.
Il film ovviamente ha il taglio ironico e divertente tipico del regista romano, ma nasconde un problema a mio avviso drammatico: è giusto che i mariti stiano accanto alla moglie nel momento del parto? Non sarebbe meglio che accanto alla futura madre ci stesse una persona cara dello stesso sesso, una sorella, un'amica, oppure, in mancanza di meglio, una professionista capace di dare assistenza e conforto in un momento così delicato e particolare? In effetti fino a poche decine di anni fa, quando i bambini nascevano in casa e non in ospedale, gli uomini erano tenuti rigorosamente fuori dalla stanza, pronti ad entrare a cose fatte una volta che la levatrice, o chi per essa, gli portava la lieta notizia.
Oggi invece la situazione si è rovesciata. Nelle coppie occidentali moderne, l'annuncio di una gravidanza coincide con l'inizio di una trattativa a volte anche aspra che riguarda proprio la presenza del marito in sala parto. Da una parte la moglie, comprensibilmente angosciata dal fatto di trovarsi a partorire circondata da professionisti che neppure conosce, dall'altra il marito preoccupato di non essere all'altezza di un compito tanto delicato. Alla fine di solito è il marito che capitola, la decisione viene presa e non c'è modo di tornare indietro. L'unica speranza, come abbiamo visto nel film, viene riposta in un divieto da parte del personale dell'ospedale che però di solito non arriva.
Ma le conseguenze di questa decisione quali sono? Secondo un’indagine svolta da alcuni centri di medicina materno-fetale della Società Italiana di Diagnosi Prenatale -da prendere comunque con cautela perchè inevitabilmente turbata da moltissime variabili esterne- le coppie in cui i mariti assistono al parto hanno una probabilità molto più alta di separarsi. E la cosa non stupisce. Un rapporto di coppia, un matrimonio, nasce sempre da un'attrazione fisica tra un uomo e una donna. E l'attrazione fisica è fatta di misteri, di inganni, di cose non dette o lasciate intendere. La donna, prima di uscire con un fidanzato, si sistema al meglio, si abbellisce, nasconde i difetti per mantenere viva l'attrazione del maschio, si trucca per apparire più bella. E non c'è niente di male in tutto questo, è un gioco delle parti che va avanti da millenni e che a noi uomini piace immensamente.
Se già la convivenza è una sfida difficile perchè ci costringe a farci vedere dall'altro come siamo realmente, cosa dire della visione diretta del momento del parto? Qui la donna appare al marito in uno stato di completo stravolgimento fisico e psicologico, sudata, affaticata, urlante. Le parti del corpo che nel rapporto a due rappresentano gli strumenti dell'attrazione, vengono esposti in modo violento alla vista del malcapitato marito che è costretto a sforzi molto duri per mantenere inalterato quel senso di mistero che manteneva viva la fiamma tra i due. E infatti capita che, dopo questa esperienza, l'uomo manifesti un senso di profondo disagio che può portare a un drastico calo del desiderio, e sommandosi ad altri fattori, può contribuire a una futura separazione.
Quali le cause di questa situazione? Non mi pare giusto dare la colpa di tutto questo alle donne o al femminismo. Come abbiamo visto, una volta si partoriva in casa, dove c'erano parenti ed amiche a portare conforto. Non c'erano regole e la donna poteva avere al fianco chi le pareva. Oggi si partorisce in ospedale, cosa che da una parte ha diminuito la mortalità infantile, ma dall'altra ha portato comunque ad una  disumanizzazione del momento sacro della nascita. E in ospedale vigono regole ferree, niente amiche, niente parenti, solo i mariti sono ammessi in sala parto ed è naturale che, in mancanza di meglio, si opti per questa soluzione.
Ma c'è dell'altro. Nella società moderna i rapporti di coppia sono stati rivestiti di significati prima inesistenti. E' vero, nelle società antiche spesso le coppie erano messe insieme per convenienza e i matrimoni erano combinati tra le famiglie ben prima che i futuri sposi raggiungessero l'età per sposarsi, ed è stata sicuramente una conquista poter scegliere la persona con cui passare il resto della propria vita. Ma come spesso accade con le conquiste della modernità, si è esagerato e si è passati ad un concetto della coppia totalizzante, dove non si è solo marito e moglie ma anche amici, compagni, confidenti. Specie nei primi anni di matrimonio, le persone a volte si sentono soffocare dalla mancanza di spazi autonomi e, se non riescono ad apportare le giuste correzioni per tempo, finiscono per separararsi perchè quello che non si piega prima o poi si spezza.
La presenza del marito in sala parto è l'ultimo stadio di questo concetto totalizzante. La donna ricatta, spesso in buona fede, il marito con un terribile "se non sei in grado di assistermi in un momento del genere vuol dire che non mi ami", e quest'ultimo, ormai sopraffatto dalla sistematica distruzione del suo ruolo avvenuta negli ultimi cinquant'anni, non ha argomenti da opporre.
Chi scrive è un marito che ha avuto a che fare con questo problema ma è riuscito, per cause fortuite, ad evitare la vista del parto. Non ha perso l'attrazione per la moglie, ma le ferite per un parto avvenuto in ospedale senza persone care intorno, non è ancora riuscito a ricucirle. E per questo non si firma col suo vero nome.

Giuseppe Cattaneo

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daniela (IP:151.42.17.192) 20-11-2011 00:03

Ho avuto due figli e il mio ex-marito è restato, solamente per il più piccolo, per tutto il tempo, in sala travaglio, e poi in sala parto. Ha scelto in autonomia in entrambi i casi, anche se sapeva che a me avrebbe fatto piacere che restasse, non principalmente per farmi compagnia o per assistermi, ma perché vivesse contemporaneamente a me l'atto sublime della nascita di nostro figlio. Posso assicurare che è rimasto sorpreso, ma piacevolmente, di questa esperienza, raccontata a tutti con entusiasmo, tenerezza, trasporto. Credeva che si sarebbe sentito male e invece non ne ha avuto il tempo perché era coinvolto: ha potuto vedere meglio di me, e ha guardato attentamente, dalla sua postazione alle mie spalle, la prima espressione del bambino, avvertito la dolcezza del suo primo respiro.
Certo devo essere stata sudata e sofferente, ma so con sicurezza che questo non ha procurato a mio marito alcun calo del desiderio. Se poi ci siamo lasciati è stato per ragioni altre, legate alla quotidiana incomprensione su fatti apparentemente marginali.
Non darei tutto questo credito ad uno studio statistico che mette in relazione due fatti distanti, come la partecipazione al parto e la separazione delle coppie, per derivarne un rapporto di causa - effetto.
Il mio figlio maggiore è diventato padre da due mesi e so che era convinto di voler assistere al parto non per accontentare la moglie ma perché lo riteneva un fatto che lo riguardasse. Mi ha raccontato, a cose fatte, di aver seguito un corso di parto, preparatorio, con la moglie. Non ha potuto partecipare all'evento della nascita perché un cesareo imprevisto ha cambiato i piani, ma mi è sembrato che gli sia sinceramente dispiaciuto. Certo non è facile capire ciò che sta nell'animo di ciascuno di noi.
Quasi tutti gli uomini e le donne assistono, nel corso della vita, ad atti emotivamente forti, voluti o non voluti, in guerra o in sala operatoria, ora sempre più spesso, quasi da guardoni, in internet. Ci sono persone, uomini e donne, che svengono alla vista del sangue, altre che si eccitano al sado-maso. Non sono per una tolleranza indifferente, credo che certamente occorra prendere una posizione consapevole. Noto purtroppo nell'articolo una generalizzazione non vera, che parte da un punto di vista. La maggioranza delle persone è abbastanza razionale per capire che la nascita è un atto particolarmente importante, misterioso e interessante.
Come si può pensare, in generale, che una donna voglia condividerlo con un'amica, una persona qualunque dello stesso sesso, al fine esclusivo di vincere la paura? Un figlio si fa in due, non è un fatto di donne.
Donne e uomini sono diversi e complementari, e possono fare miracoli.
Certamente sono d'accordo sul fatto che l'uomo, il quale pensi di partecipare perché benché non pronto, non capace, indotto dalla compagna o dal sistema ospedaliero, debba assolutamente astenersi, soprattutto se questo mettesse in discussione il suo rapporto con la donna che vuole preferibilmente vedere con rossetto e calze a rete.
ruc català (Registered) 05-01-2012 12:53

Mi sono registrato da poco a questo sito che mi fa incontrare tante persone che non mi fanno sentire un alieno come quelle al cui fianco vivo abitualmente. Sono, a seconda degli articoli e dei commenti, mediamente d%u2019accordo dal 60 al 95 per cento di quanto dibattuto ma in questo caso devo dire che non sono assolutamente d%u2019accordo. Personalmente ho assistito al parto del mio primo figlio (non del secondp perché è sopraggiunta la necessità di un cesareo) e ho partecipato attivamente all%u2019esito positivo. Infatti il nascituro si è presentato, anziché di nuca, di faccia ostruendo così la via di uscita rendendo impossibile o quanto meno molto problematico un cesareo. Con queste premesse, a un certo punto il medico mi ha detto:%u201DMetta le mani qui e aiuti a spingere anche lei perché qui non ci si leva le gambe.%u201D E io ho spinto, con tutte le mie forze, con le lacrime agli occhi, tenendo per mano mia moglie, spossata, sofferente e sudata e vi posso garantire che non mi era mai parsa così bella e attraente. Tutto si è risolto nel migliore dei modi, grazie a Dio, ma un po%u2019 grazie anche a me che ho contribuito attivamente, non solo dal punto di vista di aiuto psicologico, ma anche da quello fisico contribuendo e non poco a spingere.
Sono ancora felicemente (per quanto felici si possa essere in questo mondo) sposato da 26 anni, nonostante i momenti di difficoltà, che occorrono a tutte le coppie, ma che sono stati superati anche dal ricordo di questo fatto.
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