28 gennaio 2012
Fra i gruppi di varia gradazione di rosso, nero e rossobruno, si diffonde la convinzione che il debito pubblico sia un falso problema creato dalle élites finanziarie per depredare i popoli costringendo i governi a tagliare servizi sociali, pensioni, stipendi, in una parola il tenore di vita. Secondo costoro la passata prosperità fu determinata dal fatto che le banche centrali erano in mano allo Stato, che così poteva creare moneta a proprio piacimento, moneta non gravata dagli interessi che i banchieri privati pretendono quando prestano le banconote da loro stampate. La pratica del signoraggio bancario sarebbe insomma la responsabile pressoché unica del saccheggio delle risorse nazionali e dell’impoverimento dei popoli a vantaggio delle cricche dei dominatori. Riappropriamoci della nostra moneta e una strada di luce ci avvierà ai “domani che cantano”. Tanta faciloneria lascia allibiti. Intanto le cause della spettacolare crescita dell’economia occidentale dopo la guerra furono la ricostruzione, lo sfruttamento neocolonialista delle risorse del cosiddetto terzo mondo da cui venivano saccheggiate materie prime a basso costo, e proprio quella pratica del debito che ora, dopo tanti decenni di follia, ci esplode fra le mani. Se l’attribuzione allo Stato del compito di coniare moneta fosse il segreto della prosperità, il blocco sovietico sarebbe ancora in piedi ed egemone, la Corea del Nord sarebbe un giardino fiorito e non un posto dove si muore di fame, Cuba non sarebbe costretta a sperare nel turismo per non sprofondare nella miseria nera. La nazionalizzazione della Banca Centrale resta un giusto obiettivo politico ma pensare che sia la panacea è una convinzione alquanto bizzarra. Inoltre, a ogni debito corrispondendo un credito e a ogni debitore un creditore, occorre distinguere fra i creditori stranieri extracomunitari, i creditori della Comunità Europea, le banche che possiedono nostri titoli pubblici e i privati cittadini italiani. Ignorare il debito per colpire indiscriminatamente tutti i creditori sarebbe ingiusto e controproducente. Per una volta si deve dire che il gran parlare del debito pubblico non è un polverone propagandistico ma addita il cuore del problema. La civiltà della modernità nella sua fase estrema è la civiltà fondata sul debito. Da almeno 50 anni l’Italia e l’Occidente tutto conducono un tenore di vita assurdamente elevato grazie al debito, ma non perchè il debito non sia un problema, bensì perchè la modernità capitalista è pervenuta al punto in cui per espandersi ulteriormente ha avuto bisogno di stimolare il consumo di massa. Chi non è più giovane ricorda bene le sollecitazioni martellanti a comprare comunque, a rate, firmando cambiali, senza preoccuparsi del debito perchè un’economia in costante sviluppo proprio grazie agli elevati consumi avrebbe creato la ricchezza capace di garantire tutti. Al cittadino-consumatore lo Stato dava i mezzi per pagare sotto forma di assistenza, sovvenzioni varie, servizi a basso costo, prepensionamenti, trasformando il debito privato in debito pubblico, aggravato dalla speculazione finanziaria e dalle ruberie della casta. Il cittadino diventava poi creditore verso lo stato attraverso il possesso di titoli pubblici, con la conseguenza che gli interessi sui titoli di stato non fecero che aggravare il debito pubblico di anno in anno. Fra consumismo sfrenato e debito pubblico c’è un rapporto strettissimo. Il debito e l’usura che ne è la conseguenza sono il grande problema di una civiltà decadente. Quando Berlusconi dice, scandalizzando il coro degli ipocriti, che i ristoranti pieni sono la prova del tenore di vita elevato della popolazione, dice il vero, almeno nel senso che pur nelle ristrettezze il cittadino medio non sa più rinunciare a una scala di priorità del tutto distorta. Una marea di auto con a bordo il solo guidatore invade tutti gli spazi, tanto che il parcheggio diventa un problema esistenziale in questa deformazione grottesca dell’umano cui siamo pervenuti; nelle regioni più ricche ogni componente maggiorenne della famiglia ha la propria auto; in tante case c’è un televisore in ogni stanza, compreso il bagno; dal bambino di otto anni in su, ogni componente la famiglia ha il telefonino, da cambiare quasi ogni anno all’uscita di un nuovo prodotto sempre più tecnologico. Negare che questa sia la vita della maggioranza degli italiani e degli occidentali, è negare l’evidenza. Tutto ciò è pura follia e ha un rapporto strettissimo col debito pubblico. Affermare che il debito è un’invenzione di cui non dobbiamo curarci è un’affermazione insensata e politicamente conservatrice perché vuole perpetuare un tipo di civiltà e di consumi che sta portando il mondo alla distruzione e ciò che era umano alla degradazione. Invece di sprecare energie intellettuali nella denuncia del signoraggio e nel tentativo di negare che il debito pubblico sia un problema, bisognerebbe lucidamente concentrarsi sull’opportunità che la crisi di sistema offre per una svolta finalmente radicale. Ragionando in termini politici, si tratta di prospettare poche parole d’ordine, semplici e mobilitanti, su obiettivi di per sé capaci di mettere in moto processi a catena. La prima di queste parole d’ordine è fuori l’Europa dalla NATO, fuori gli americani dall’Europa. La passività dei popoli europei davanti alla vicenda libica e più in generale davanti a una china che ci sta portando a una guerra di spaventose proporzioni a solo vantaggio di USA e Israele, è qualcosa di angoscioso. Occorre rimettere questa rivendicazione al primo posto all’ordine del giorno. Fuori dalla NATO significa che l’Europa dovrà darsi una propria forza armata più credibile, offrendola anche come garanzia agli Stati dell’est europeo, filoamericani perché timorosi di una ripresa espansionistica della Russia. Con la stessa Russia occorrerà stabilire rapporti di buon vicinato, dandole a nostra volta garanzie e offrendo collaborazione economica in cambio di forniture energetiche. Tutto ciò implica una politica di vasto respiro, che comporta la necessità di un vero governo europeo riducendo il peso spropositato della BCE. Una seconda parola d’ordine è fare pagare i maggiori responsabili del debito pubblico. Questo significa colpire duramente i grandi patrimoni, le rendite, compresi i depositi bancari eccedenti una certa cifra, i beni voluttuari, compresi prostituzione e droga da legalizzare e tassare, i redditi della casta, intendendo con questo termine ormai abusato non solo i parlamentari e gli organismi locali pleonastici come i consigli e le giunte provinciali, ma soprattutto le migliaia di consiglieri di amministrazione di municipalizzate varie, inutili carrozzoni mangiasoldi. Aggredire il debito pubblico significa anche ridurre il peso dei servizi assistenziali, compresi gli assurdi sprechi di una sanità gonfiata all’inverosimile. Questo comporta ripristinare la centralità della famiglia e delle sue attività di cura e di assistenza. Perché queste attività non gravino esclusivamente sulle donne, come è storicamente successo, i rapporti all’interno della famiglia dovranno riposizionarsi con un mutamento delle mentalità. Per ridare questo ruolo decisivo alla famiglia sarà indispensabile ristrutturare l’economia verso la stabilità del posto di lavoro e una graduale decrescita. Lo spazio della transazione monetaria si ridurrà a favore dell’economia del dono e dello scambio. Così si dimostra che far passare certi obiettivi comporta la messa in moto di un processo in cui tutto si tiene: se vogliamo uscire dalla NATO dovremo costruire un’altra Europa, se vogliamo affrontare alle radici il debito pubblico dobbiamo operare una svolta nei comportamenti e nella mentalità. In definitiva: una svolta di civiltà. Per noi si tratta di un’antimodernità che non può essere pura e semplice premodernità. Tornare alla lira e negare che esista un problema di debito pubblico equivale alla rinuncia a utilizzare la crisi per un vero cambiamento. Qualunque rimedio autentico comporta un sostanziale impoverimento della parte benestante della popolazione italiana, vale a dire almeno 30 milioni di persone. O si ha il coraggio di affrontare questa verità o continueremo a rimestare il nulla.
Luciano Fuschini
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