Tutto si tiene
28 gennaio 2012

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Fra i gruppi di varia gradazione di rosso, nero e rossobruno, si diffonde la convinzione che il debito pubblico sia un falso problema creato dalle élites finanziarie per depredare i popoli costringendo i governi a tagliare servizi sociali, pensioni, stipendi, in una parola il tenore di vita. Secondo costoro la passata prosperità fu determinata dal fatto che le banche centrali erano in mano allo Stato, che così poteva creare moneta a proprio piacimento, moneta non gravata dagli interessi che i banchieri privati pretendono quando prestano le banconote da loro stampate. La pratica del signoraggio bancario sarebbe insomma la responsabile pressoché unica del saccheggio delle risorse nazionali e dell’impoverimento dei popoli a vantaggio delle cricche dei dominatori. Riappropriamoci della nostra moneta e una strada di luce ci avvierà ai “domani che cantano”.
Tanta faciloneria lascia allibiti. Intanto le cause della spettacolare crescita dell’economia occidentale dopo la guerra furono la ricostruzione, lo sfruttamento neocolonialista delle risorse del cosiddetto terzo mondo da cui venivano saccheggiate materie prime a basso costo, e proprio quella pratica del debito che ora, dopo tanti decenni di follia, ci esplode fra le mani. Se l’attribuzione allo Stato del compito di coniare moneta fosse il segreto della prosperità, il blocco sovietico sarebbe ancora in piedi ed egemone, la Corea del Nord sarebbe un giardino fiorito e non un posto dove si muore di fame, Cuba non sarebbe costretta a sperare nel turismo per non sprofondare nella miseria nera. La nazionalizzazione della Banca Centrale resta un giusto obiettivo politico ma pensare che sia la panacea è una convinzione alquanto bizzarra. Inoltre, a ogni debito corrispondendo un credito e a ogni debitore un creditore, occorre distinguere fra i creditori stranieri extracomunitari, i creditori della Comunità Europea, le banche che possiedono nostri titoli pubblici e i privati cittadini italiani. Ignorare il debito per colpire indiscriminatamente tutti i creditori sarebbe ingiusto e controproducente.
Per una volta si deve dire che il gran parlare del debito pubblico non è un polverone propagandistico ma addita il cuore del problema. La civiltà della modernità nella sua fase estrema è la civiltà fondata sul debito. Da almeno 50 anni l’Italia e l’Occidente tutto conducono un tenore di vita assurdamente elevato grazie al debito, ma non perchè il debito non sia un problema, bensì perchè la modernità capitalista è pervenuta al punto in cui per espandersi ulteriormente ha avuto bisogno di stimolare il consumo di massa. Chi non è più giovane ricorda bene le sollecitazioni martellanti a comprare comunque, a rate, firmando cambiali, senza preoccuparsi del debito perchè  un’economia in costante sviluppo proprio grazie agli elevati consumi avrebbe creato la ricchezza capace di garantire tutti. Al cittadino-consumatore lo Stato dava i mezzi per pagare sotto forma di assistenza, sovvenzioni varie, servizi a basso costo, prepensionamenti, trasformando il debito privato in debito pubblico, aggravato dalla speculazione finanziaria e dalle ruberie della casta. Il cittadino diventava poi  creditore verso lo stato attraverso il possesso di titoli pubblici, con la conseguenza che gli interessi sui titoli di stato non fecero che aggravare il debito pubblico di anno in anno. Fra consumismo sfrenato e debito pubblico c’è un rapporto strettissimo. Il debito e l’usura che ne è la conseguenza sono il grande problema di una civiltà decadente. Quando Berlusconi dice, scandalizzando il coro degli ipocriti, che i ristoranti pieni sono la prova del tenore di vita elevato della popolazione, dice il vero, almeno nel senso che pur nelle ristrettezze il cittadino medio non sa più rinunciare a una scala di priorità del tutto distorta. Una marea di auto con a bordo il solo guidatore invade tutti gli spazi, tanto che il parcheggio diventa un problema esistenziale in questa deformazione grottesca dell’umano cui siamo pervenuti; nelle regioni più ricche ogni componente maggiorenne della famiglia ha la propria auto; in tante case c’è un televisore in ogni stanza, compreso il bagno; dal bambino di otto anni in su, ogni componente la famiglia ha il telefonino, da cambiare quasi ogni anno all’uscita di un nuovo prodotto sempre più tecnologico. Negare che questa sia la vita della maggioranza degli italiani e degli occidentali, è negare l’evidenza. Tutto ciò è pura follia e ha un rapporto strettissimo col debito pubblico. Affermare che il debito è un’invenzione di cui non dobbiamo curarci è un’affermazione insensata e politicamente conservatrice perché vuole perpetuare un tipo di civiltà e di consumi che sta portando il mondo alla distruzione e ciò che era umano alla degradazione.
Invece di sprecare energie intellettuali nella denuncia del signoraggio e nel tentativo di negare che il debito pubblico sia un problema, bisognerebbe lucidamente concentrarsi sull’opportunità che la crisi di sistema offre per una svolta finalmente radicale. Ragionando in termini politici, si tratta di prospettare poche parole d’ordine, semplici e mobilitanti, su obiettivi di per sé capaci di mettere in moto processi a catena. La prima di queste parole d’ordine è fuori l’Europa dalla NATO, fuori gli americani dall’Europa. La passività dei popoli europei davanti alla vicenda libica e più in generale davanti a una china che ci sta portando a una guerra di spaventose proporzioni a solo vantaggio di USA e Israele, è qualcosa di angoscioso. Occorre rimettere questa rivendicazione al primo posto all’ordine del giorno. Fuori dalla NATO significa che l’Europa dovrà darsi una propria forza armata più credibile, offrendola anche come garanzia agli Stati dell’est europeo, filoamericani perché timorosi di una ripresa espansionistica della Russia. Con la stessa Russia occorrerà stabilire rapporti di buon vicinato, dandole a nostra volta garanzie e offrendo collaborazione economica in cambio di forniture energetiche. Tutto ciò implica una politica di vasto respiro, che comporta la necessità di un vero governo europeo riducendo il peso spropositato della BCE.
Una seconda parola d’ordine è fare pagare i maggiori responsabili del debito pubblico. Questo significa colpire duramente i grandi patrimoni, le rendite, compresi i depositi bancari eccedenti una certa cifra, i beni voluttuari, compresi prostituzione e droga da legalizzare e tassare, i redditi  della casta, intendendo con questo termine ormai abusato non solo i parlamentari e gli organismi locali pleonastici come i consigli e le giunte provinciali, ma soprattutto le migliaia di consiglieri di amministrazione di municipalizzate varie, inutili carrozzoni mangiasoldi. Aggredire il debito pubblico significa anche ridurre il peso dei servizi assistenziali, compresi gli assurdi sprechi di una sanità gonfiata all’inverosimile. Questo comporta ripristinare la centralità della famiglia e delle sue attività di cura e di assistenza. Perché queste attività non gravino esclusivamente sulle donne, come è storicamente successo, i rapporti all’interno della famiglia dovranno riposizionarsi con un mutamento delle mentalità. Per ridare questo ruolo decisivo alla famiglia sarà indispensabile ristrutturare l’economia verso la stabilità del posto di lavoro e una graduale decrescita. Lo spazio della transazione monetaria si ridurrà a favore dell’economia del dono e dello scambio. Così si dimostra che far passare certi obiettivi comporta la messa in moto di un processo in cui tutto si tiene: se vogliamo uscire dalla NATO dovremo costruire un’altra Europa, se vogliamo affrontare alle radici il debito pubblico dobbiamo operare una svolta nei comportamenti e nella mentalità. In definitiva: una svolta di civiltà. Per noi si tratta di un’antimodernità che non può essere pura e semplice premodernità. Tornare alla lira e negare che esista un problema di debito pubblico equivale alla rinuncia a utilizzare la crisi per un vero cambiamento. Qualunque rimedio autentico comporta un sostanziale impoverimento della parte benestante della popolazione italiana, vale a dire almeno 30 milioni di persone. O si ha il coraggio di affrontare questa verità o continueremo a rimestare il nulla.

Luciano Fuschini

Commenti
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aragorn (IP:81.81.201.101) 30-01-2012 02:34

E' una analisi incompleta che tratta il tema monetario in maniera ideologica. Se si riflettesse sul fatto che la società moderna nasce "finanziaria", attorno al 1500 e solo dopo diversi secoli di preparazione diventa industriale, si capirebbe che senza la possibilità di generare danaro dal nulla si annullerebbe ogni diabolico meccanismo di iperproduzione. Le leve del potere finanziario utilizzano le produzioni ed i consumi per creare il vortice costituito da desiderio, indebitamento, acquisto, consumo. Vortice infinito come il simbolo della spirale ben evidenzia. Questo meccanismo oggi drena il 70 per cento dei guadagni di un impiegato medio, sotto forma di tasse dirette ed indirette. Se si interrompesse il meccanismo della creazione della moneta col debito e si annullasse il vortice che genera le tasse usuraie, automaticamente scenderebbero i consumi e lo sfruttamento delle risorse naturali almeno del 50 per cento. Perchè, con una certa superficialità, ci soffermiamo sempre e solo sui consumi di beni, mentre trascuriamo che per pagare le tasse nella proporzione di 6 o 7 decimi di quello che guadagniamo, noi siamo costretti a dipendere da automobili, consumare benzina, telefonare, viaggiare in mille modi. Questo è solo un aspetto di quelli che potrebbero cambiare, ovvero ridursi drasticamente, se la leva finanziaria non fosse al servizio di quella industriale. Concordo con Luciano sul fatto che ci siano persone in giro che non vanno al di là della questione monetaria. La stessa considerazione vale per alcuni seguaci monotematici della decrescita, che non si rendono conto che fino a quando esisterà l'assillo usurocratico generato dalla moneta creata dal debito, non sarà possibile nessuna sana riduzione dei consumi, che dovrà accompagnare una rinnovata visione ecocompatibile dell'esistenza.
umarilungo@gmail.com
barbax (Registered) 31-01-2012 08:40

javascript:emoticon("") mi trovo d'accordo su tutto il discorso .. ma il problema da risolvere è.. cosa e come fare per creare consensi intorno a queste soluzioni ??
daniela (Registered) 31-01-2012 20:12

Personalmente penso che l'articolo di Blondet, che sottopongo alla vostra attenzione, esponga una tesi compatibile con il discorso di Luciano e coerente con i commenti che ho scritto già su questo blog qualche articolo fa.
Spero vivamente che vi sia qui la voglia di esaminarlo.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=9790
willon@libero.it
willon (Registered) 02-02-2012 16:05

curioso...
l'articolo di fuschini (leggo un'evoluzione continua nei suoi articoli...) vorrebbe, credo, fugare ogni dubbio sulla distanza tra movimento zero - antimoderno - e tutte le altre correnti anticapitaliste che si muovono nel nome di (in ordine casualmente grottesco):
cupe nostalgie rossobrune,
ipnotici complottismi alla matriciana, antiimperialismi tardomarxisti,
ucronici leggittimismi neoborbonici,
complottismi da demenza senile,
tradizionalismo gnostico antigiudaico,
neofascismo antiplutocratico,
signoraggismo antimassonico illuminato,
insalate miste di superiori incogniti e
adelphi vari della dissoluzione.

la ricerca di una via antimoderna è innanzitutto, purtroppo, capacità di prendere la distanze dalle superstizioni anticapitaliste ad honorem. forse un antimoderno è semplicemente un tipo che prende la storia sul serio.
quindi, per favore, la lista di sopra andrebbe usata come elenco di orologi rotti che fanno l'ora giusta due volte al dì, e non di potenziali alleati contro il nemico imperialista.
credo personalmente che si tratti di un'impresa ardua. gli orologi rotti hanno un fascino vintage.
Fuschini comunque ci ha provato. onore al merito. e morte al signoraggismo complottista antimassonico.
Giovanni Marini (Registered) 02-02-2012 18:07

Però Luciano,in un momento in cui la gente perde il lavoro o è terrorizzata di perderlo mettere al primo posto il problema dell'appartenenza alla NATO mi sa un po' di deja-vu inefficace.
Io mi interrogo sull'appartenenza ad una Europa fondata sul potere di una oligarchia finanziaria autoreferenziale e non sui valori come mi aspettavo. Tra le persone un po' più informate di economia si sviluppa un aspro dibattito sul destino dell'euro e sulle regole di governance economica. Questa crisi ha dato un'accelerata alla costruzione di una europa entro la quale gli Stati perderanno la propria sovranità e il fiscal compact di recente approvazione spiana la strada all'esautorazione dei governi nazionali nel determinare la politica economica. Saremo governati dai banchieri tedeschi. L'Inghilterra è ormai fuori dalla stanza dei bottoni, l'europa si sta costruendo intorno agli interessi dell'elite finanziaria franco-tedesca.
Non percepite la forza di questo grandioso e maledetto progetto? Quale sarà allora il destino del nostro Paese e delle nostre vite?
In questo contesto geopolitico il ribellismo generico o sindacalizzato non ha chance, non ha neppure sponda politica. Che dire delle utopie decresciste? A me suonano un pochino fuori dal mondo almeno nei termini idilliaci con cui sono presentate. Insomma mancano le molotov idealiste con cui affrontare i panzer tedeschi.

I nostalgici del Sacro Romano Impero saranno presto accontentati, resta da vedere se sarà di loro gradimento. Al posto dei principi ci saranno i banchieri, al posto delle imponenti cattedrali gotiche le Banche Centrali.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 02-02-2012 18:42

Sarei meno drastico di Willon nella critica ai signoraggisti. Vogliamo dire che il controllo pubblico sulla banca centrale che emette moneta e la conseguente eliminazione del cosiddetto signoraggio è condizione necessaria ma non sufficiente? Mi sembra un accettabile compromesso. Quanto alle massonerie, esistono e sono influenti. Sul rossobrunismo penso in sintesi che sia niente altro che la sinistra fascista. Sempre meglio della liberal-social-democrazia, ma il nazionalismo unito alla nostalgia per un socialismo statalista e accentratore è calato in pieno nella logica della modernità, per cui sarà bene prenderne le distanze.
A Giovanni vorrei dire che la questione della pace e della guerra resta la priorità assoluta. I fatti dimostrano che l'islam militante è più spesso un alleato del colonialismo contro i regimi laici, nazionalisti e socialisti. Tutta la grancassa propagandistica sul terrorismo islamico voleva solo coprire una serie di aggressioni tendenti a circondare Russia e Cina in vista di una nuova grande guerra, tanto più probabile quanto più si complica il quadro economico e finanziario. L'Italia asservita all'Impero è già in primissima linea, per cui l'uscita dalla NATO e dalla sudditanza è il primo obiettivo da porsi. Questo volendo essere propositivi e tentando di salvare l'anima, ma il pessimismo che traspare dal tuo commento è anche il mio.
willon@libero.it
willon (Registered) 02-02-2012 23:25

si può anche tornare ad avere un unico istituto di emissione completamente statale, non solo nelle funzioni ma anche nella proprietà. la differenza la fanno le regole di emissione monetaria. moneta a base aurea? moneta legata a qualche valuta di riserva? moneta con cui monetizzare il debito nazionale che i creditori domestici e stranieri non intendono sottoscrivere? vogliamo davvero tornare agli anni prima del divorzio tesoro-BI? ne vale la pena? si presentino però argomenti non legati all'influenza mefistofelica di banchieri-massoni. non sono necessari mantello, squadra e compasso per intrallazzare. immaginare una società complessa governata con una moneta che viene emessa per soddisfare le prossime esigenze in deficit della classe politica e magari stabilendo che siano i prefetti e non il mercato a decidere chi merita un fido e chi no mi pare più una robina da fascismo superburocratico che non una soluzione futuribile. e infatti piace tanto a forza nuova.
credo che chi intende opporsi moralmente, culturalmente, politicamente, socialmente all'attuale deriva debba rileggersi qualche caposaldo dell'opposizione storica al liberalismo manchesteriano, invece di seguire i nuovi guru che in fondo rileggono e ri-citano gli stessi maestri di sempre. meglio le fonti dirette. sotto certi profili, K. Polany, ad es. nel '44 aveva già scritto tutto in termini di critica storica.
sul decrescismo, credo che si tratti solo di un generico appello alle coscienze individuali per un cambio di atteggiamento mentale e di comportamenti effettivi nel quotidiano. un distillato di sentimentalismo.
insomma, troppa letteratura e poca economia.
se vi capitasse di dover affrontare seriamente un esperto settoriale liberista (tipo noisefromamerika o brunoleoni.it) non potreste certo appellarvi alla rivoluzione conservatrice o dire che l'economia è un'invenzione.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 03-02-2012 13:23

Se discutessi di economia con un esperto liberista, mi farebbe a pezzetti. Il fatto è che non sono interessato a misurarmi su questo terreno. Viviamo in un contesto pan-economicista solo da tre secoli, da quando la rivoluzione industrialista ha cominciato ad ammorbare il mondo. Prima non esisteva la pretesa di fondare un'economia politica come scienza. Si produceva, si consumava, si viveva. Quando ci avventuriamo sul terreno dell'economia lo facciamo non per suggerire rimedi che rendano il sistema più efficiente, ma per evocare un tipo di civiltà diverso, una società più povera di mezzi ma migliore. Al liberista direi solo che chi in tre secoli ha demolito le fondamenta del vivere civile, ha creato con la sua follia competitiva un mondo di nevrotici che si impasticcano per sopportare la vita, non ha nulla da insegnare a nessuno. Se mi dicesse che non si torna al Medioevo replicherei che un'epoca che ha prodotto la Divina Commedia, il Duomo di Milano e una società in cui, pur nelle ingiustizie e nella durezza della vita quotidiana, ognuno era inserito in una comunità forte e organica, era comunque una civiltà molto superiore alla barbarie in cui siamo condannati a vivere. Del resto non si tratta di tornare al Medioevo ma semplicemente di recuperare il senso delle priorità autentiche, di riscoprire ciò che conta nella vita e che è stato totalmente oscurato. La decrescita è il termine che sintetizza questo modo di vedere e di sentire. Non è una teoria economica che intenda competere con le formule dei liberisti ma l'indicazione di ciò che potremmo essere dopo il disastro.
willon@libero.it
willon (Registered) 03-02-2012 14:10

il misconoscimento dell'economia politica come scienza sociale autonoma è probabilmente il vero comune denominatore dei diversi anti-modernismi da destra a sinistra. ma credo che il confluire nel decrescismo, che mi sa tanto di semplice pauperismo di ritorno (ce ne sono stati tanti in ogni epoca) con esaltazione implicita dell'autarchia, cioé dell'economia di sussistenza, rappresenti un modo poco "storico" di essere antimoderno, e molto razionalista e astratto. l'alternativa classica è il corporativismo statalista, ma allora cosa differenzia un antimoderno da un neofascista di casapound? il fatto di prendere più sul serio latouche di pound? io considererei anche l'alternativa libertaria della scuola austriaca, che fa del liberalismo una battaglia antimoderna nel nome dell'antirazionalismo pianificatore, burocratico e accentratore.
o no?
nosorog (Registered) 03-02-2012 15:29

Nella parte finale dell'articolo si parla di un "sostanziale impoverimento della parte benestante del paese, ovvero almeno 30 mln di persone". Chi ha calcolato che metà degli Italiani sono benestanti a gli altri no? Qual'è la soglia di reddito oltre la quale si viene considerati benestanti? Occhio a fare affermazioni di questo tipo, perché i contrari chiederebbero a chi scrive un minimo di coerenza, e quindi di rinunciare ad auto, cellulare, PC, vacanze, ecc. e di saper dimostrare di accettare anche nei fatti il proprio "impoverimento". Io avrei parlato di rinuncia al consumismo, definendo quali prodotti si considerano sprechi consumistici e quali invece fanno parte delle necessità di un essere umano del XXI secolo.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 03-02-2012 15:54

Non siamo nazionalisti, non coltiviamo la figura del Capo carismatico né siamo particolarmente sensibili al valore della disciplina gerarchica, il nostro ideale di socialità è più un comunitarismo che un socialismo statalista o un corporativismo burocratico. Pertanto non siamo confondibili con gruppi neofascisti.
nosorog richiede giustamente comportamenti coerenti con le idee che si propugnano, ma non si può nemmeno pretendere che chi è animato da un'idea diversa di società taccia soltanto perché vivendo in un certo contesto e cedendo ad alcune sollecitazioni ambientali o per limiti personali non riesce a proporsi come modello ideale.
willon@libero.it
willon (Registered) 03-02-2012 17:44

buona la risposta sulle distanze da nazionalismi neofasci e burocratismi socialistici e corporativi. bene non avere il culto della personalità. ma il richiamo al comunitarismo, secondo me, dovrebbe indurvi a valutare seriamente un confronto con un certo libertarismo, dove il conservatorismo culturale e il richiamo alla comunità è presente.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 03-02-2012 18:18

Un certo libertarismo è ben presente nella personalità e nell'opera di Massimo Fini ed è riscontrabile anche in MZ. Io ne sono meno incline per dato caratteriale ma questo è irrilevante. Ringrazio Willon per il civilissimo e proficuo scambio di opinioni.
ottavino (IP:213.243.202.253) 03-02-2012 19:25

Prima di dire "faccio il libertario", "faccio il fascista", "faccio il comunista" e soprattutto prima di improvvisarsi sociologhi, bisogna individuare le cause degli avvenimenti che ci hanno condotto in questa situazione. Solo individuando la causa si possono prendere dei provvedimenti. E la causa prima non è affatto l'economia politica. Per comprenderla è sufficente accendere la TV e sorbirsi per qualche minuto un qualche notiziario. Si può comprendere allora che la causa risiede nella totale inutilità della nostra società. Persone che si dichiarano reporter, politici, impenditori, preti, cuochi, soldati, funzionari, pubblicitari, e miliardi di altri. Tutte persone che la società ha "sistemato" in qualche modo, anche se questo non fa cadere la loro inutilità. Il "mercato" tanto caro ai libertari, certamente farebbe ridurre il numero di queti inutili, ma questo non sarebbe certo indolore. Di conseguenza, che importanza può avere dichiararsi o non dichiararsi? Che sia un dittatore o che sia il mercato a ridimensionare ciò che è invasivo che importanza può avere?
willon@libero.it
willon (Registered) 03-02-2012 22:22

beh, non c'entra un tubo, però mi sento di segnalare agli utenti di questo sito che su politicainrete.it è nata freschissima una sottosezione intestata alla tradizione europea che cerca di approfondire proprio le tematiche antimoderne con il classico strumento del forum... si parla di voi, insomma. ed è subito emerso quanto poco vi si conosca.
per chi interessa:
http://politicainrete.it/forum/movimenti-e-cultura-politica/tradizione-europea/
Giovanni Marini (Registered) 04-02-2012 10:13

Per quel che mi consta non credo che il libertarismo della scuola austriaca abbia qualcosa in comune col MZ.

Nel MZ ci sono diverse sensibilità accomunate dalla critica al mondo moderno. La modernità è fondata sull'idea di progresso come indiscutibile bene e sulla fede che solo il mercato possa promuovere il benessere degli individui.
La scuola economica austriaca come tutta l'economia nella sua pretesa di spiegarne il funzionamento poi si inserisce a pieno titolo nella modernità, ne costituisce parte integrante. In particolare il libertarismo intende ridurre ai minimi termini o sopprimere lo Stato (proteggendo ovviamente la proprietà privata) e lasciare agli individui la massima libertà. In questo senso rappresenta il liberismo portato all'estremo.
Non abbiamo esempi che una società siffatta possa funzionare, anzi si può dire che non essendo stato possibile realizzare neppure i principi liberisti non si capisce perché dovrebbe funzionare la sua estremizzazione.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Registered) 04-02-2012 11:22

Grazie a Willon per la segnalazione.
Sul libertarismo: è uno di quei termini dalle tante sfaccettature, per cui le discussioni spesso nascono da equivoci. Gli anarchici dell'Ottocento, per esempio, si definivano libertari ma erano contrari alla proprietà privata. Il termine libertario è spesso usato come sinonimo di individualista o ribelle. Sicuramente non siamo libertari nel senso di un liberalismo radicale, applicato anche in economia.
Noto (Registered) 04-02-2012 17:28

Per approfondire il discorso sulla decrescita e per rimuovere alcuni malintesi e preconcetti che sono emersi anche in questa discussione, consiglio di leggere l'ultimo libro di Serge La touche: "per un'abbondanza frugale", utilissimo per chiarirsi le idee su questo argomento!
willon@libero.it
willon (Registered) 05-02-2012 12:19

in quel libro che segnali, però, latouche prende le distanze da de bonoist... diciamo che non lo tratta molto bene... quasi avesse strumentalizzato la tematica della decrescita.
sul libertarismo, dico solo che ci sono uomini e temi che potrebbero considerarsi convergenti con certe sensibilità. so bene che il pensiero libertarian viene attualmente percepito come il massimo del liberismo e quindi il massimo della modernità. ma darei un'occhiata a cere idee cosiddette paleo, ovvero paleolibertarian e paleoconservatrici...
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