Sul "rossobrunismo"

21 maggio 2012

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Ormai parlare di superamento della vecchia contrapposizione fra destra e sinistra è diventato un luogo comune. Tuttavia se ne parla secondo criteri assai diversi. L’unico che consiste in un vero superamento di quella falsa dicotomia e non in una semplice sovrapposizione di elementi tradizionalmente attribuiti alla destra e alla sinistra, è quello che non perde di vista i due punti fermi dell’antimodernità e della decrescita. Solo mantenendo la barra del timone ben orientata su questi due obiettivi si può legittimamente affermare di essere fuori dallo schematismo introdotto dalla rivoluzione francese.
Non è il caso degli ormai numerosi movimenti rossobruni. Essi si caratterizzano avendo tre punti programmatici in comune: 1) il nazionalismo (sarebbe doveroso distinguere, seguendo Mazzini, fra patriottismo e nazionalismo, ma un acceso patriottismo sfocia inevitabilmente nel nazionalismo); 2) il rifiuto dei meccanismi istituzionali rappresentativi del sistema liberal-democratico; 3) il socialismo, inteso più come nazionalizzazione degli istituti finanziari che come collettivizzazione dei mezzi di produzione.
L’unico punto in cui i movimenti rossobruni dissentono fra loro è il primo, in quanto alcuni intendono il nazionalismo in senso proprio, come difesa ed esaltazione dell’identità nazionale, mentre altri sostituiscono alla nazione l’Europa come riferimento identitario, un’Europa beninteso svincolata dalla tutela americana, verso la quale tutti i movimenti rossobruni manifestano una ripulsa totale. Ebbene, stando così le cose, bisogna giungere alla conclusione che il cosiddetto rossobrunismo non è altro che la sinistra fascista. Il rossobrunismo è il fascismo di sinistra.
Una sinistra fascista è sempre esistita e ha avuto un peso superiore a quanto la storiografia di orientamento marxista, per lungo tempo dominante, sia stata disposta ad ammettere. Del resto sarebbe sorprendente un’assenza di sinistrismo in un fenomeno, quello fascista, che ha avuto fra i promotori molti provenienti dal sindacalismo rivoluzionario e dal socialismo massimalista, primo fra tutti Mussolini. La linea “rossa” del fascismo è identificabile in tutta la sua storia. Il sindacalista rivoluzionario De Ambris e la sua Carta del Carnaro, lodata dallo stesso Lenin, espressione di un dannunzianesimo destinato a confluire nel fascismo; il programma del primo fascismo, quello sansepolcrista, repubblicano, anticlericale e socialisteggiante (sempre Lenin rimproverò i socialisti italiani per essersi lasciati sfuggire l’unico capo rivoluzionario fra loro, Mussolini); il corporativismo su cui tanto si adoperò Bottai, basato sull’idea della prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato; le nazionalizzazioni degli anni Trenta, affidate dallo stesso Mussolini al socialista Beneduce; la polemica contro le demo-pluto-crazie dell’Occidente; infine il programma molto avanzato socialmente della Repubblica di Salò. Se nel regime fascista prevalsero nettamente gli elementi  monarchici, borghesi e imperialisti, fu per i compromessi di potere con le forze conservatrici (industriali, agrari, Vaticano, corte dei Savoia, gerarchie militari) e soprattutto per la paura del bolscevismo. Ora che del bolscevismo non c’è più traccia, è comprensibile che il neofascismo si ripresenti col suo volto originario “di sinistra”.
Noi non siamo rossobruni, non abbiamo nulla da spartire col rossobrunismo, cioè col fascismo di sinistra. Non siamo nazionalisti, nutrendo piuttosto l’ideale di un radicamento nelle realtà regionali federate in un contesto nazionale a sua volta articolato in un’Europa federale. Quanto al nostro ideale sociale, è più definibile come un comunitarismo che come un socialismo statalista e accentratore. Eppure coi rossobruni, cioè con la sinistra fascista, che si riconosca come tale o non, è possibile e anche auspicabile un tratto di strada in comune.
Oggi la priorità assoluta è la demolizione di quella caricatura dell’Europa unita che è la UE.
Liberarci della stretta dell’Europa dei banchieri, appendice degli USA e non loro contrappeso, è la precondizione per ogni ulteriore liberazione. A questo fine occorrono parole d’ordine semplici e chiare, recepibili dai tanti che non sono pronti ad accogliere un discorso antimoderno e decrescista. Queste parole d’ordine semplici, chiare, mobilitanti, sono: recupero della piena sovranità nazionale, lotta alla speculazione finanziaria e alla rendita, forme di protezionismo compatibili con nuove relazioni internazionali. Volendo ragionare in termini politici, che non possono prescindere da alleanze e compromessi, questi sono gli obiettivi che permetteranno di mettere finalmente in moto un processo che dovrà portare più lontano. Si tratta di riavvolgere il nastro, di tornare indietro cancellando l’orrore devastante degli ultimi decenni, non per fare della Nazione il fine ultimo. Se così fosse, ci sfuggirebbe il carattere di svolta epocale che assume la crisi in cui ci troviamo. Ripristinare la sovranità nazionale è solo la via più breve e più praticabile per demolire un sistema, mettere in crisi questa Europa e la globalizzazione, creando le condizioni per la messa in discussione di tutta la modernità, compreso quello Stato-Nazione burocratico e accentrato che della modernità è stato un’espressione fondamentale.

Luciano Fuschini

Commenti
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Giovanni Marini (Registered) 22-05-2012 20:02

E' chiaro che per un movimento che vuole essere alternativo allo stato dell'esistente è più facile svolgere la propria opera, giocarsi le proprie carte con qualche probabilità di successo in un contesto nazionale piuttosto che sovra nazionale e continentale.
L'europa che si sta costruendo è fatta in funzione del mercato e del capitale ma NON è una emanazione del capitalismo americano.
E' vero che gli USA appoggiarono l'idea di una Europa unita nel dopoguerra e durante la guerra fredda. Lo fecero per scopi strategici. In quell'epoca i partiti comunisti erano forti in tutta Europa, la Francia perseguiva una politica estera indipendente pertanto una europa unita avrebbe assicurato l'appartenenza dell'Italia e della Francia nel blocco americano.
Ora a comunismo finito la situazione è totalmente diversa e non possiamo leggere i fatti odierni col metro di ieri.
Una crisi finanziaria generata in America ha coinvolto l'Europa in una fase di transizione. La debolezza dell'euro dipende da questo. La BCE non ha (ancora) il mandato e i poteri di una banca centrale nazionale come la FED.
Ma quella che avanza a grandi passi si chiama fortezza Europa ed è a guida franco-tedesca, non c'è dubbio su questo.
Per la prima volta la Gran Bretagna è fuori e questo è un fatto rilevante. La GB è sempre stata in bilico sulla sua appartenenza all'Europa dati i forti legami che ha con gli USA.
L'altro fatto rilevante è che col fiscal compact la politica economica sarà centralizzata. Significa che tutta l'Europa sarà governata come se fosse un unico Stato. I parlamenti nazionali si occuperanno di nozze gay e cose del genere.
Ciò che sta nascendo cari amici è l'Impero che molti di voi rimpiangono da secoli.
Certo non può essere l'Impero antico, certo non è fondato sulla nobiltà del sangue, certo è guidato da una detestabile élite ma è l'Impero. E non ha neppure l'ipocrisia di essere democratico.
Gaetano (IP:79.47.72.18) 22-05-2012 21:06

Nella lista dei personaggi che hanno animato la sinistra fascista non dimenticherei Ugo Spirito, allievo di Giovanni Gentile, forse il più originale dei pensatori di quella vasta, variegata (e litigiosa) corrente.
La sua idea di "corporazione proprietaria" fu, probabilmente, il più importante contributo filosofico alla costruzione di una prospettiva radicalmente antitetica al capitalismo ed al bolscevismo. Idea che fu ripresa e (mal) applicata durante la Repubblica di Salò e che fu apprezzata (almeno nelle intenzioni) anche da esponenti antifascisti come Vittorio Foa.
In ogni caso, non concordo con l'idea di Fuschini secondo cui con movimenti che si ispirano a tali idee si possa percorrere un tratto comune in senso antimodernista. E' vero che tutto va bene per demolire questo sistema, però è evidente che la struttura portante di tale ideologia è estremamente centrata su posizioni materialiste, quindi poco distanti dalla mentalità produttivista dell'occidente moderno.
Se rivolgimento contro questo mondo deve essere, che si parta da speculazioni antitetiche alle posizioni filo-progressiste che ci ammorbano ogni giorno e che non ci aiutano a "decolonizzare l'immaginario", come direbbe Latouche.
daniela (IP:151.42.21.78) 23-05-2012 08:36

Devo riconoscere che Marini tocca, per me, un tasto veramente delicato. Senz'altro preferirei un'Europa molto diversa da quella disegnata dagli attuali Trattati. In più ne rigetto completamente la visione materialistica, la politica economica basata sul liberismo e sulla privatizzazione dei beni degli Stati e dei beni comuni. Non sarei contraria ad un'Europa "fortezza", se fondasse il proprio patto con la società con una visione economica più statica, pensando ad una relativa autosufficienza, ad una maggiore autoproduzione, a relazioni cooperative fra Stati-regione autonomi ma con meno sovranità, se decolonizzasse il proprio immaginario da una visione di crescita quantitativa a qualunque costo. E' sicuro che l'Imperuccio europeo, che si sta delineando, completamente asservito agli Usa, i quali, per di più, qui da noi, stanno scaricando i loro problemi, non lo si possa trasformare dall'interno, perciò sono tentata di credere che il recesso dai Trattati europei sia una via obbligata. Demolire nella speranza che si possano cambiare i rapporti di forza. Credo che fra la guida anglosassone e quella franco-tedesca sia comunque preferibile quest'ultima.
Concordo con Gaetano che si dovrebbe, nell'analisi, partire prioritariamente da speculazioni antitetiche alle numerose posizioni filo-progressiste.
kulma (Registered) 26-05-2012 19:00

Concordo anch'io con Gaetano. Io sono dispostissimo a dialogare con i rosso bruni (come con chiunque altro), sempre che si sia disposti a mettere in discussione i propri "dogmi". Perché penso di avere davvero poco in comune con loro. Quindi non saprei che tratto di strada farci assieme. Magari ci possono essere piccole battaglie comuni. Ma quelle le trovo anche con qualche progressista. Il problema é che l'obiettivo della guerra é differente.
Fai bene Luciano a prendere le distanze dal rosso-brunismo. A far capire che MZ é qualcosa di diverso. Il problema é che lo capiamo in pochi. Ahimé, mi duole ammetterlo, ma é proprio la mia vecchia parte politica (sinistra) che non lo capisce. Ha un difetto enorme. E' in fissa con la tassonomia. Deve catalogare tutte le specie politiche e metapolitiche. Peccato che conosca solo tre categorie: compagno, borghese e fascista. Quindi MZ finisce subito nel calderone del rossobrunismo (=fascismo). C'é finito ultimamente anche Appello al Popolo, detto tutto. Che tristezza.
Comunque Luciano, ottima la tua breve analisi del rosso-brunismo. E da analisi del genere che si dovrebbe capire che MZ non é rosso-bruna.
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