Il simbolismo della città divina

24 giugno 2012

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Questo testo è la sintesi di un breve saggio pubblicato da “centrostudiparadesha” e ripreso da Rassegna  stampa di Arianna del 28/05/2012 [N.d.d.]   

 

Uno dei simboli più importanti della Tradizione, non foss’altro in quanto esprime in maniera esemplare l’essenza stessa della Civiltà tradizionale, è quello della Città Divina, la quale costituisce costantemente l’archetipo del centro spirituale trascendente dal quale sempre s’irradia ciascuna forma del Sacro, vissuta da una particolare collettività; nonché, in pari tempo, il modello trascendente di quella civiltà che tale stessa collettività ha realizzato nella Storia. Nei miti di varie tradizioni troviamo le città divine quali Asgard, l’Olimpo, la Gerusalemme Celeste, o le città mistiche di Jabalqa, Jabarsa e Hurqalya, più volte menzionate da Henry Corbin a proposito del «Mondo immaginale». Tutte queste “capitali” del Reame metafisico hanno le loro immagini corrispondenti nel mondo terreno degli uomini in città reali quali Thule o Tula, Gerusalemme, Roma intesa quale «caput mundi» spirituale, ossia «città eterna», oppure centri leggendarî come Shangrilah, Shambala, Agartha, Salem, etc., le quali, a loro volta, devono essere ricollegate al Paradiso Terrestre, all’Eden, ossia, più che semplicemente ad un’antichissima, o addirittura primigenia, civiltà umana – la quale comunque esistette come la Tradizione la descrive -, a quella condizione di consapevolezza e beatitudine originarie, appartenuta alla prima stirpe degli uomini.

È evidente, a questo punto, che la città sacra, o il Paradiso perduto, quale sede originaria del genere umano è l’equivalente, in base ad un simbolismo di tipo spaziale o geografico, dell’Età dell’Oro, secondo un simbolismo di tipo temporale o storico – a condizione che qui si presupponga una «storia sacra», una ierostoria -; così com’è pure palese che entrambi i simbolismi coincidono, o comunque convergono integrandosi vicendevolmente, nell’espressione di quello che è noto come «stato edenico» o «paradisiaco» dell’Umanità, a cui accennavamo poco fa. L’elemento fondamentale della Città Divina, così come della città santa, è certamente la Presenza di Dio, che in essa si manifesta; e se nella prima questa è la sostanza stessa del suo essere, e pertanto costituisce una Rivelazione perfetta e definitiva del Principio; nella seconda è invece qualcosa che può essere percepito e vissuto, ma, ovviamente, non certo con la stessa immediatezza e pienezza possibili nella prima: è, in qualche modo, piuttosto un presagio dell’avvento della radiosa Luce divina che, non essendo ancora apparsa nel suo autentico fulgore, resta invisibile, occultata, e magari solo intravista, grazie ad una certa sottile trasparenza spirituale del luogo ad Essa consacrato. Per queste ragioni, quindi, la città sacra è il luogo per eccellenza nel quale si invera il simbolo del Regno di Dio la cui realtà “è già e non ancora” (iam et nondum) presente nella storia e nella coscienza dell’uomo; ed infatti, nelle città sante, l’abitante od il pellegrino, nello stesso momento in cui “incontra” Dio, o vi si approssima, si trova nello stato d’animo di chi prova una sorta di intensa nostalgia, un sentimento difficilmente definibile, che, a sua volta, è nel contempo vaga reminiscenza della passata Età Aurea, e anelito e presentimento di quella futura. È impossibile non riconoscere che nell’Apocalisse di S. Giovanni evangelista il simbolo della Città Divina possiede un valore ed una forza assai difficilmente riscontrabili nei testi sacri appartenenti ad altre tradizioni[...]

In definitiva, a partire dalla luminosa Presenza di Dio al suo interno, la Gerusalemme Celeste si rivela quale modello eterno del Cosmo, perfetto Piano divino del corso del tempo; progetto del Grande Architetto dell’Universo, che contiene in sé tutte le pure essenze spirituali, le infinite Idee, platonicamente intese, di tutti gli enti passati, presenti e futuri[...]                                                  Il corso del tempo, il divenire storico, dunque, allontanano sempre più l’uomo da quella beatitudine primigenia, trasferendolo progressivamente dalla «Civitas Dei» alla «civitas Diaboli», nella quale egli vive una condizione esistenziale di dannazione terrena, dovuta all’influenza demoniaca, che si è fatta predominante nel mondo, producendo la civiltà letteralmente infernale in cui egli vive nei tempi ultimi. Tuttavia, questa fase conclusiva di ottenebramento collettivo delle coscienze è destinata ad essere di breve durata, poiché la seconda fase del ciclo ierostorico vi porrà fine, riportando la Città Divina al centro dell’esistenza e della storia umane, generando in tal modo un nuovo Paradiso Terrestre[...]

 Proprio come negli uomini dell’Età Aurea, negli uomini che hanno attraversato interiormente indenni l’Età Oscura, fino a giungere alla visione della Rivelazione finale, si realizza quello stato interiore che permette loro di sapere che il Paradiso Terrestre non è altro che l’attuazione sul piano corporeo, sensibile e temporale della trascendente ed eterna Gerusalemme Celeste; ossia che l’intero Universo non è che la proiezione sensibile dell’Intelletto di Dio[...]

 

Giovanni M. Tateo 

 

Commenti
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Misopickle (Registered) 25-06-2012 13:50

OhSantaPolenta! Avrei preferito si continuasse sull'onda agnostica della discussione, ma tant'è, un testo dotto ed incoraggiante sulla fine della modernità e dei suoi satanassi, che vengan o meno dagli Inferi,ancorchè un pochino dualista e religiosamente dedicato alla sua, di causa, non può far male.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Super Administrator) 25-06-2012 14:54

Caro Misopickle, in MZ c'è anche una dimensione spiritualista che è giusto non ignorare. Da parte mia, sono poco convinto dell'imminente apparizione della Gerusalemme Celeste...
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