Europa passione triste

1 agosto 2012

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Questo testo è apparso sul blog Mainstream del 5 luglio 2012 (N.d.d.)

L'affermazione che per salvare ciò che resta di civiltà sociale nel nostro paese sia necessario rompere con l'UE incontra, come è noto, forti resistenze, e questo in particolare nella sinistra. In effetti, sembra che per molte persone di sinistra l'UE rappresenti una specie di ideale sostitutivo, un succedaneo del socialismo o del comunismo ormai abbandonati. E i meccanismi psicologici, che la tesi di abbandono dell'UE fa scattare in molte persone, ricordano proprio quelli che la critica ai paesi dell'Est facevano scattare in tanti militanti comunistiUn indice di questo complesso psicologico è il fatto stesso di parlare di “Europa” invece che di “Unione Europea”. È chiaro che si tratta di due cose ben diverse. L'Europa è una realtà geografica, storica, culturale alla quale l'Italia appartiene pienamente, per cui la proposta di “far uscire l'Italia dall'Europa” è un non senso.  L'Unione Europea è invece una realtà giuridica nata da circa un paio di decenni grazie all'adesione di una serie di paesi europei ad alcuni trattati. Sono questi trattati a definire cosa è l'UE. Ora, è ben noto che in questi trattati viene teorizzata una impostazione economica di liberismo stretto. Quella che ha cioè portato alla attuale crisi. L'UE è stata creata con lo scopo di permettere la massima circolazione di merci e capitali e di impedire sostanzialmente ogni intervento statale che ostacoli concorrenza e libera circolazione delle merci. Questi aspetti non sono linee di politica economica scelte da una maggioranza politica, e che possano quindi cambiare con una diversa maggioranza politica. Sono l'essenza stessa dei trattati che definiscono l'UE, e sono quindi l'essenza dell'UE. Aderendo all'UE è a tali politiche che si aderisce.

In tutto questo non c'è nulla di strano. La creazione dell'UE avviene infatti negli stessi anni (anni Ottanta e Novanta, in sostanza) nei quali si impongono nell'Europa occidentale le politiche economiche neoliberiste, che comportano la lenta erosione di tutte le conquiste ottenute dai ceti popolari nel secondo dopoguerra. I ceti dirigenti dei paesi europei, che nei propri paesi distruggono lentamente diritti e redditi dei ceti subalterni, sono gli stessi che in quegli anni costruiscono l'Unione Europea. Solo uno sciocco potrebbe pensare che in tale costruzione siano mossi da spinte diverse rispetto a quelle che li portano, nei propri paesi all'attacco ai ceti subordinati. È evidente che la costruzione europea risponde alle stesse logiche antipopolari delle politiche economiche neoliberiste. Questo semplice dato di fatto lo si ritrova, magari non in forma immediata, nella coscienza popolare. È vero che la massiccia campagna mediatica a favore dell'UE ha prodotto, per lunghi periodi, e soprattutto in alcuni paesi come l'Italia, una notevole adesione popolare all'idea dell'unificazione europea. Ma diversi indizi mostrano come si tratti di una adesione passiva. Nessuno si riconosce nella bandiera europea e nessuno canta l'inno europeo. Soprattutto, non si è mai imposta una “festa europea”. Questo ci sembra un aspetto significativo della coscienza popolare. Cosa significano infatti le grandi feste “politiche” (tralasciamo ovviamente le feste religiose e quelle in qualche modo legate al folklore) di paesi come l'Italia o la Francia? Pensiamo al significato del 25 aprile, del 14 luglio, del 1 maggio: si tratta di grandi feste che celebrano le lotte e le vittorie del popolo, di chi sta in basso, contro chi sta in alto. Queste feste indicavano una cosa che un tempo era chiara: i ceti dominanti non concedono mai nulla gratis, tutto quello che i ceti popolari hanno ottenuto glielo hanno strappato con dure lotte. 

E cosa significa allora l'assenza di una vera festa popolare “per l'Europa”? Significa che i ceti subalterni non hanno fatto nulla, che l'UE non è il risultato delle loro lotte, ma è appunto una costruzione dei ceti dominanti. È un loro progetto che, come si è detto sopra, corre parallelo all'instaurazione delle politiche neoliberiste di distruzione delle conquiste popolari. Tutto questo è abbastanza semplice da capire. Tanta semplicità induce allora a porsi un'altra domanda: da dove origina questa “passione per l'UE” che pure è un dato reale del senso comune in paesi come l'Italia? Credo che la risposta sia duplice. Da una parte l'UE ha rappresentato l'ultimo rifugio della sinistra italiana, in evidente crisi di identità dopo l'Ottantanove. Ma la passione per l'UE tipica della sinistra in questi anni ha potuto agganciarsi su qualcosa di più profondo, su una sostanziale disistima di sé che è uno dei dati più negativi del senso comune del popolo italiano. Non vogliamo qui indagare a fondo le ragioni di questo senso di autosvilimento che qualsiasi italiano conosce molto bene. Esse risalgono probabilmente al modo in cui il senso di orgoglio nazionale è stato appropriato dal fascismo e alla sconfitta vergognosa del fascismo stesso. Ci pare evidente che c'è in molti italiani un senso di disperazione rispetto ai problemi, certo seri e gravi, del nostro paese.

In sostanza l'adesione all'UE appare come la richiesta di essere governati da qualcun altro che non sia italiano, di diventare un protettorato tedesco o francese, a seconda dei gusti. Purtroppo questa passione appare molto mal riposta. I paesi forti dell'UE fanno semplicemente i propri interessi, e rinunciare alla propria sovranità per metterla in mano a qualcun altro, in un contesto di competizioni spietate, appare davvero una scelta suicida. Come è evidente anche nella vita dei singoli, è impossibile essere rispettati e far valere le proprie ragioni se si parte da un sostanziale disprezzo di sé. La passione per l'UE appare quindi una passione priva della festa che celebri la vittoria popolare, ed effetto in ultima analisi di un profondo disprezzo di sé. Riprendendo senza pretese di correttezza filologica una espressione di Spinoza potremmo dire che, almeno in Italia, l'Europa è una passione triste.

Marino Badiale

 

Commenti
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fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Super Administrator) 01-08-2012 10:36

Badiale sottolinea giustamente l'importanza dei simboli, delle bandiere, delle feste che celebrano ricorrenze civili in cui la comunità si identifica. Nell'attuale UE non c'è nulla di tutto ciò perché è nata morta. Però non si deve tacere il fatto che anche gli Stati nazionali, nessuno escluso, sono costruzioni artificiose nate da conquiste armate. Nel momento della proclamazione dell'unità d'Italia, l'italiano era per l'80% degli abitanti della penisola una lingua estranea come può essere oggi l'inglese. L'idea di una comunità dei popoli europei ha fondamenti storici. Si realizzerà solo quando sarà fondata su passioni popolari, quelle che creano appunto i miti fondanti, i simboli, le feste patriottiche. Soltanto una rivoluzione di dimensioni transnazionali potrà erigere una vera costruzione europea. Intanto però non si deve respingere, come momento tattico finalizzato alla distruzione dell'attuale UE, una fase di recupero delle sovranità nazionali. A questo scopo si cerca di costruire convergenze fra forze diverse. A Grosseto il 30 giugno alcuni movimenti si sono riuniti a tale scopo. Fra gli altri c'era La Voce del Ribelle, una voce che ovviamente non può esserci estranea.
MarMar81 (Registered) 02-08-2012 16:13

Badiale è stato per un anno e mezzo mio compagno di viaggio in Alternativa, lo conosco bene e lo stimo molto per la sua profonda onestà intellettuale, che lo porta ad essere sempre più avanti della media nelle analisi sulla realtà esistente. Riguardo l'Europa (intesa come UE) ha ragione sulla sua artificiosità e "pelosità", come direbbe Massimo Fini. Per il resto, concordo con Luciano sulla necessità tattica di distruggere l'UE tramite il ritorno alle sovranità, il problema è che non abbiamo certezza che questo processo spingerà verso la rivoluzione transnazionale che pure tutti auspichiamo, il rischio purtroppo è che alla fine abbiano ragione gli europeisti ultraliberali, ossia che una disintegrazione dell'Europa porti al ritorno di un nazionalismo "tutti contro tutti" dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente disastrose. Ci muoviamo sul filo, come gli equilibristi, e perdere l'equilibrio è davvero un attimo...
Giovanni Marini (Registered) 02-08-2012 19:55

Gli europeisti ultraliberali NON hanno ragione. Sarebbe sufficiente tornare allo SME (valute sovrane oscillanti in una ristretta banda), non è necessario distruggere l'Europa, si riguadagnerebbe la sovranità nazionale e si ricomincerebbe a fare politica. Non c'è nessun pericolo di ritorno ai nazionalismi perchè rimarrebbero in piedi tutti i trattati precedenti Maastricht.
fosco2007@alice.it
lucianofuschini (Super Administrator) 02-08-2012 21:59

In Alternativa c'erano, e ci sono, ottime persone e bei cervelli, ma vi si è verificata una scissione che ha dato vita ad ARS (Associazione per la Riconquista della Sovranità)per iniziativa di un altro elemento di grande valore come Stefano D'Andrea, Associazione cui Badiale aderisce. Sovranità nazionale, uscita dall'UE e dall'euro, possono essere percorsi praticabili per uscire dagli attuali assetti, essendo parole d'ordine ben comprensibili e capaci di diventare popolari, ma questo ritorno a realtà superate non valuta adeguatamente il carattere di svolta epocale che l'attuale crisi, non solo finanziaria ed economica ma di civiltà, delinea.
Giovanni Marini (Registered) 03-08-2012 09:08

Eppure il recupero della sovranità nazionale è il prerequisito indispensabile per qualunque azione politica si voglia perseguire, questo è evidente. Un anno fa di questo non si parlava, l'esplosione della crisi ha reso chiaro il ruolo subalterno dei governi ma era già tutto implicito nella legislazione europea. Come al solito si arriva sempre tardi perchè nessuno si legge i trattati (scritti peraltro in forma volutamente ostica) preferendo una più gratificante chiacchiera politica.
La prospettiva del MZ, io credo, vada al di là del tipo di assetto politico realizzabile per cui forse è meno interessato al problema della sovranità nazionale, non so se sbaglio.
Quello che è successo ha reso chiaro a tutti chi è che comanda. Due o tre anni fa Luciano scrisse su questo sito un articolo molto interessante sul ruolo delle élite al potere nella storia delle civiltà che non riesco a reperire. Ora che si è disvelata dovremmo imparare almeno a conoscere la nostra e cercare di capire dove vuole andare a parare, perchè, anche questo è chiaro, c'è un grande progetto in progress.
Vincenzo (Registered) 03-08-2012 13:54


L'articolo che cerchi, Giovanni, si chiama Aristoi, ed è del 12 novembre 2009.
Giovanni Marini (Registered) 04-08-2012 19:36

Grazie.
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