L'integrazione impossibile |
10 Agosto 2013
Si procede a passo spedito verso l’approvazione di leggi come lo Ius soli, anche perché, per la cronaca, è dal 2011 che gli italiani hanno perso il diritto di scegliere da chi farsi governare. Passare dal governo tecno-finanziario Monti a quello pseudo-politico di Letta-Alfano, ha significato una continuità nella discontinuità; Monti, Letta, Alfano, sono tutti neodemocristiani, vicini agli ambienti della finanza internazionale e dei salotti del Bilderberg e oramai si fanno tranquillamente i fatti loro, infischiandosene di quello che il popolo pensa, poiché non devono temere il responso delle urne; in qualsiasi data ci si rechi alle urne e quale che sia la nostra scelta di voto, lorsignori se ne restano in panciolle, con le loro pesanti terga, sulle comode poltrone, a decidere dei nostri destini. Le ragioni per cui insistono con leggi come lo Ius soli, sono le stesse per cui spingono, in Italia e nel mondo, per i matrimoni gay e altre fesserie del genere; occorre approvare tutto ciò che può alimentare “il caos globale”, per giungere al Governo Mondiale. Sulla proposta di Ius soli, ci sono state voci favorevoli e altre contrarie e ci sono state anche gravi strumentalizzazioni di natura razzista, da parte di settori leghisti e di estrema destra, affermazioni e comportamenti molto gravi, che la dicono tutta sul livello di cultura e di civiltà di certe aree politico-culturali. Sono episodi da condannare, sebbene, restando fedele al mio principio, non censurabili, per il rispetto assoluto che io nutro per la libertà di espressione. Certo, la libertà di espressione non può sfociare in calunnia o offesa personale, ma bisogna anche dire che di fronte a frasi e contenuti infantili e ridicoli, la cosa migliore è l’indifferenza. Tuttavia, se s’insiste a spingere per l’approvazione di leggi come lo Ius soli, e la diffusione d’idee che estendono la retorica del multiculturalismo e del multietnismo, si rischia di alimentare il razzismo e fomentare un “neofascismo” che onestamente sembra già aleggiare in Europa e non solo in essa. Allora sarà bene precisare che, nonostante le patetiche smentite dell’ultima ora, la prima proposta di Ius soli del ministro Kyenge, prevedeva che il diritto di cittadinanza ai figli degli immigrati scattasse nel momento stesso in cui questi mettevano piede sul suolo italico. La proposta era delirante, poiché avrebbe spalancato le porte a tutte quelle immigrate furbe che si fanno ingravidare e poi partono dai loro paesi per venire a scodellare il proprio pargolo nel nostro paese al solo scopo di conferirgli così il diritto di cittadinanza. A dire il vero, tempo addietro la Kyenge si lasciò anche sfuggire parole molto ambigue, che sembravano aprire alla poligamia, che per dovere della cronaca in Olanda è già stata legalizzata; ovviamente, dopo critiche e polemiche varie la Kyenge si è corretta, ha fatto goffe smentite, dimostrando come minimo scarsa capacità comunicativa. Aldilà di palesi strumentalizzazioni di chi, soprattutto “da destra”, ha gonfiato le questioni, per ragioni biecamente razziste, bisogna adesso chiedersi se la Kyenge sia compatibile con la carica che ricopre, oppure no. Il fatto che lei sia di origine africana, e che provenga da una famiglia poligama e da un’educazione molto diversa dalla nostra, e che lei stessa sia entrata in Italia in maniera irregolare, non può non condizionare pericolosamente il modo di intendere il suo ministero e svolgere il suo compito. Prescindiamo dal fatto che in realtà sia stata messa lì per dare al governo un’immagine “politicamente corretta”, ma che in realtà la povera Kyenge conta davvero poco all’interno del governo, anche perché sprovvista “di portafoglio”, però non ha torto Sartori quando afferma che è totalmente incompetente in materia di “immigrazione” e “integrazione”. Il fatto che sia di pelle scura non la rende più adatta di un bianco a svolgere quel compito. Per citare le parole dello stesso Sartori, non si comprende cosa c’entri un’oculista al ministero dell’integrazione. Inoltre, è sempre nel giusto Sartori quando corregge l’affermazione della Kyenge che l’Italia è un paese “meticcio”. Quando si ricoprono certe cariche, bisogna sapere bene quello che si dice e se si dimostra di essere totalmente incompetenti, sarebbe dignitoso rassegnare le dimissioni. Di tutte le proposte fatte dalla Kyenge, non me ne ricordo una che fosse ragionevole e non si può sottacere questa realtà per paura di essere bollati come razzisti. Il colore della pelle della Kyenge o altre questioni del genere non c’entrano nulla. Sulla proposta dello Ius soli, ovviamente, si è a un certo punto corretto la mira, per renderlo più “digeribile”, perciò, al momento attuale, salvo successive smentite e giravolte del caso, si pensa a concedere il diritto di cittadinanza ai figli degli immigrati che sono in Italia da almeno 5 anni. Sulla questione è intervenuto, proprio su Il Giornale del Ribelle, anche Luciano Fuschini che, pur muovendo le sue critiche alle retoriche progressiste, ha preso posizione in difesa del principio di fondo dello Ius soli, ponendo però precisi paletti: 1) chi è nato in Italia da genitori non italiani, assume la cittadinanza italiana dopo avervi frequentato la scuola dell’obbligo; 2) chiunque abbia pagato le tasse allo Stato italiano per un periodo non inferiore ai 5 anni consecutivi, ha diritto alla cittadinanza qualora la richieda. Mi permetto di dire che, pur riconoscendo il merito a Fuschini di impegnarsi a trovare una posizione di equilibrio, i suoi paletti, a mio avviso, non risolvono il problema di fondo. Non sono d’accordo che le condizioni attuali della società mondiale implichino la realizzazione dello Ius soli. Il pagamento delle tasse è un requisito molto secondario; a prescindere dal fatto che dovremmo allora togliere il diritto di cittadinanza a tutti quegli italiani – e sono tanti – che le evadono, il problema è un altro, ovvero che il rispetto della legalità fiscale non ha nulla a che fare con il problema “dell’integrazione”. Concentrandosi perciò sul restante problema, quello della frequentazione della scuola d’obbligo, posso dire, per esperienza personale, che di immigrati che hanno frequentato la scuola dell’obbligo ne conosco parecchi, ma sono lontani anni luce da essersi “integrati”. Aldilà di immigrati regolari o irregolari (senza neppure il permesso di soggiorno), che compiono ogni genere di reato nel nostro paese, rimanendo impuniti, con una strana accondiscendenza della legge italiana nei loro confronti – atteggiamento ben diverso rispetto a quello riservato per gli italiani – c’è da analizzare il problema ancora più delicato di quegli immigrati che pur parlando la nostra lingua e magari aver fatto anche la scuola dell’obbligo nel nostro paese, continuano a pensare, e a comportarsi come “un corpo estraneo” nel nostro paese. Prendo come esempio il caso degli immigrati musulmani. Per esperienza personale, posso garantire che la maggioranza di loro, pur conoscendo la nostra lingua e avendo fatto magari anche la nostra scuola d’obbligo, non sono “integrati” e non “vogliono integrarsi” con l’identità culturale del nostro paese. Ci sono ragazze musulmane, che sono obbligate dai padri o dai fratelli a indossare il chador, alle quali viene intimato di non frequentare uomini occidentali, di non avere rapporti sessuali prematrimoniali; se queste mogli, figlie, sorelle, osano disubbidire agl’imperativi dei maschi di famiglia, sono picchiate, e in alcuni casi addirittura assassinate. Non si ribatta che queste cose sono contrarie alla nostra legge e che se qualcuno la infrange, finisce in carcere. A prescindere dal fatto che si leggono ogni giorno casi di delinquenti che pur avendo compiuto gravi reati rimangono impuniti, o subiscono pene irrisorie, qui la discussione verte sulla questione dell’integrazione. Non si può ritenere di aver risolto il delicato problema dell’integrazione con la detenzione carceraria di chi infrange la legge, occorre essere sicuri di potere costruire una società nella quale i cittadini, quale che sia la loro razza, la religione, l’orientamento sessuale, si riconoscano non solo nella nostra legge, ma anche nella nostra cultura e nei nostri valori. Non mi soffermerò qui a dire che “i nostri valori” sono molto discutibili e annacquati non tanto dall’immigrazione, quanto dalla perdita di vigore dello stesso occidente; resta il problema di fondo: se un immigrato ha frequentato la scuola d’obbligo, ha genitori extracomunitari che sono nel nostro paese da cinque anni, e pagano le tasse allo Stato italiano, questo implica che ci sia “l’integrazione”? Assolutamente no, l’educazione che questi “nuovi cittadini italiani” hanno ricevuto a scuola (premesso che le scuole italiane oggi non educano più), continuerà a stridere con l’educazione che i propri genitori gli daranno in famiglia, e statene certi, resterà rigorosamente legata al paese, alla cultura e alla religione di provenienza. No, mi spiace, ma non mi convince. L’assunzione del diritto di cittadinanza deve essere la fine di un percorso che deve essere valutato in modo molto attento, e non può scattare in modo così sbrigativo e approssimativo. Ecco perché sono contrario alla proposta dello Ius Soli – anche nella versione proposta da Luciano Fuschini – e perché ritengo che la questione di fondo sia un’altra e ben più gravosa: la retorica dell’ideologia multietnica e multiculturale, fortemente voluta trasversalmente da settori politici, economici ed ecclesiastici, è completamente fallita e si è rivelata dannosa tanto per noi quanto per gli immigrati stessi. Gianluca Donati
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