Deregulation

4 Ottobre 2013

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C’era una volta la licenza, che si doveva comprare, spesso a caro prezzo, per aprire un esercizio in città. C’era una volta la Camera di Commercio, che doveva decidere se consentire o meno l’apertura di un negozio o di una qualsiasi attività in una determinata strada di un determinato quartiere. Qualora quella zona fosse già sufficientemente coperta da esercizi o servizi di quel tipo, la concessione veniva negata.

Orrore. Burocratismo di tipo sovietico. Corporativismo. La parola d’ordine era: abolire lacci e laccioli. Viva la deregulationDa quella campagna liberista, in cui si distinse il presunto “comunista” Bersani, non dimentichiamolo, le nostre città sono uscite trasformate.

Può succedere di vedere un negozietto di sigarette elettroniche accanto a una tabaccheria subito dopo la quale un secondo negozio di sigarette elettroniche offre la sua merce ai passanti. Tanto vale allestire nello spazio antistante anche un ring dove i tre proprietari si affrontino ogni mattina in un match di pugilato.

Nel giro di poche centinaia di metri vediamo un fiorire di gelaterie e di pizzerie.

Ottici, orefici, negozi di abbigliamento, punteggiano le vie più eleganti, quelle del passeggio pomeridiano e serale. Chincaglierie e bigiotterie si offrono da cento vetrine. I bar si contendono le piazze e le piazzette delle fermate degli autobus e delle corriere. Chi cerchi un’agenzia di compra-vendita di case e appartamenti, non deve far altro che guardarsi attorno: la ricerca non sarà lunga.

Gran parte di quegli esercizi, impiantati fra tante illusioni e tanti debiti, falliscono nel giro di pochi mesi e devono chiudere. Ai debiti si può far fronte vendendo il locale ad altri illusi che magari trasformano la pizzeria per il nuovo business della sigaretta elettronica. Non è altro che un trasferimento del debito a un altro incauto, in una catena che non si chiude mai, come quella famigerata di sant’Antonio.

Le delizie della deregulation dovevano favorire i consumatori, con la concorrenza che fa migliorare il prodotto e abbassare il prezzo, secondo le formule magiche degli stregoni liberisti. Non risulta che dalle decine di gelaterie che si offrono in un paio di strade contigue escano gelati più grandi e a prezzi ridotti. Avviene più spesso il contrario.

Quelli che si abbassano sono i salari dei dipendenti, mentre si allungano i loro tempi di lavoro. Ne sanno qualcosa commesse e cassiere dei supermercati. Fino a pochi anni fa ogni supermercato osservava una mezza giornata settimanale di chiusura e rispettava il riposo domenicale. Quando qualcuno ha preso l’iniziativa di tenere aperto tutti i giorni dalla mattina alla sera e la domenica per metà giornata, uno ad uno tutti gli altri hanno dovuto allinearsi, secondo la regola ferrea della libera concorrenza. Il risultato è un piccolo vantaggio per i clienti e un grande aggravio di lavoro per i dipendenti.

La concorrenza senza regole ha effettivamente calmierato i prezzi in alcuni settori, come quello della telefonia. Gli elettrodomestici hanno contenuto i prezzi per la semplice ragione che il mercato è saturo. La concorrenza internazionale dà all’acquirente qualche vantaggio nel settore dei prodotti elettronici. Le compagnie del trasporto aereo si contendono i clienti con offerte al ribasso, ma in questa lotta feroce in cui il contenimento dei costi è di vitale importanza, i fallimenti sono frequenti e i rischi per la sicurezza dei viaggiatori aumentano.

 In definitiva, se il consumatore ne ricava qualche vantaggio marginale, i dipendenti, in tutti i settori, pagano la deregulation con precarietà, tagli del personale, diminuzione dei salari o maggior carico di lavoro con salario immutato. Ne consegue una loro minore capacità di consumo e pertanto una contrazione del mercato anziché una sua espansione. Il tutto in un incremento di ansie, nevrosi, tensioni individuali e familiari che fanno della “società del benessere” la società del più profondo disagio di massa che la storia del mondo abbia conosciuto e tramandato.

 

Luciano Fuschini

 

   

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