23 novembre 2008
Lo dico subito: tira una brutta aria. E non parlo della crisi economica, che deve peraltro ancora produrre i suoi effetti più devastanti, ma della cappa di regime che comincia a calare sulle nostre teste. Lo so: la parola “regime” è una delle più abusate e sfruttate dai burattini dello spettacolo politico e mediatico tutte le volte che vogliono screditare i loro rivali, dimenticandosi che le parole sono pietre e andrebbero ben soppesate prima di essere pronunciate. Chiarisco allora subito che parlando di “regime” non mi riferisco alla chiusura del Parlamento, all’occupazione del Palazzo della Televisione, alla repressione poliziesca o militare, insomma a tutti i mezzi utilizzati dalle classiche dittature. Il regime di oggi è quello (sedicente) democratico, che negli ultimi tempi sta sperimentando nuove tecniche di repressione del dissenso. Dai comitati No Tav a quelli No Dal Molin, dagli ultras agli studenti, passando per coloro che in Campania e non solo si sono opposti alla costruzione di inceneritori: eccole le ultime cavie del laboratorio “democratico”. Il metodo è sempre lo stesso. In primo luogo occorre spostare l’attenzione dall’oggetto della contestazione, che si evita accuratamente di approfondire, ai suoi autori; il secondo passaggio è quello di criminalizzare quest’ultimi o comunque considerarli esclusivamente un problema di ordine pubblico, spesso artatamente ingigantito; l’inevitabile conseguenza è quella di invocare e quindi realizzare “leggi speciali” che affrontino l’”emergenza” garantendo la “sicurezza” (tra virgolette abbiamo messo i termini chiave che vengono costantemente evocati come veri e propri mantra in queste situazioni). Ecco allora le limitazioni alla libertà di movimento, aberrazioni giuridiche come il reato in flagranza differita (un vero e proprio ossimoro), la qualifica di terroristi a chi si rifiuta di vivere in un ambiente contaminato, la schedatura di chi esercita il diritto costituzionale di manifestare liberamente, etc etc. Tutto ciò è ovviamente gravissimo, ma non è a mio avviso l’aspetto più preoccupante della situazione. Il vero dramma comincia a prender corpo con l’assordante silenzio che accompagna simili provvedimenti. Assordante, perché tanti ne parlano sui giornali e nelle tribune televisive, mille voci si accavallano e si sovrappongono, mille punti di vista si esprimono finendo per elidersi reciprocamente. Alla fine ciò che resta veramente è appunto il silenzio, o al massimo una flebile vocina. Ed è una vocina che dice: “Ma guarda se io devo stare a preoccuparmi di questi disgraziati che fanno a botte nelle strade e a tutta ‘sta gente che ne parla litigando in televisione mentre io faccio fatica ad arrivare alla fine del mese! Ma metteteli in galera tutti!”. Questo è il vero regime: l’intorpidimento delle coscienze se non addirittura l’ottenimento dell’invocazione a che esso si imponga in nome del quieto vivere. Ciò che più dovrebbe colpire osservando coloro che ancora hanno la voglia ed il coraggio di scendere in piazza per far valere i loro diritti, è la solitudine che li circonda. Fatta eccezione per gli strumentali quanto falsi appoggi di determinate parti politiche, costoro rappresentano sempre e solo sé stessi. Sembra ad esempio che lo scempio della Tav sia un problema da lasciare ai valsusini o che l’occupazione militare del nostro Paese da parte di una potenza straniera riguardi solo i vicentini. Le problematiche sollevate faticano ad affermarsi per quello che sono, e cioè delle questioni di principio che ci coinvolgono tutti e finiscono col sembrare delle rivendicazioni corporative e di bottega. L’esasperato individualismo coltivato per decenni dal nostro modello di sviluppo, l’atomizzazione della società perseguita dal sistema economico e politico, produce oggi i suoi effetti. Il Ribelle non è più l’icona di una comunità ma un soggetto “altro”, se non addirittura il fastidioso insetto che turba il nostro grigio tran tran quotidiano: invece di seguirlo, si chiede di schiacciarlo. E quale Stato di polizia può essere più perfetto di quello che viene invocato dalle sue vittime?
Andrea Marcon
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